Mostre

Songs and Spells

Dal 2 dicembre al 13 marzo 2023 l'artista romano Emiliano Maggi torna a Firenze con sua la personale, una mostra a cura di Caroline Corbetta concepita per le sale del Museo Stefano Bardini

Ultimo episodio del suo progetto per la città di Firenze – avviato lo scorso settembre con la performance Water Spell, che ha visto l’artista risalire l’Arno a bordo di un’imbarcazione accompagnato dai musici del Corteo Storico fiorentino, seguita dalla realizzazione dei premi per RINASCIMENTO+, riconoscimento internazionale al mecenatismo e collezionismo d’arte contemporanea – la mostra si presenta come un suggestivo viaggio attraverso la stratificazione di epoche, stili e oggetti all’interno delle sale del Museo Bardini.

Con Songs and Spells l’artista instaura una connessione con la stratificazione sintetica di epoche e stili del museo fiorentino. Oltre una ventina di sculture in ceramica realizzate da Maggi dal 2018 ad oggi, con fogge e finiture diverse, ora opache ora lucidissime, e una piccola serie di nuovi dipinti, compongono un percorso espositivo incentrato sul tema della metamorfosi dove ogni soggetto è catturato in un momento di trasformazione.

Busti le cui fattezze paiono sul punto di liquefarsi o ricomporsi sotto l’effetto di un incantesimo, parti anatomiche in cui si innestano elementi animali, ma anche oggetti-sculture attraverso cui la presenza umana è evocata come l’eco di una canzone. Così come nelle precedenti occasioni, Maggi affonda le mani nel passato della città, nel suo patrimonio artistico, per plasmare nuovi miti, questa volta in un luogo d’eccezione: la sede della collezione dell’antiquario e connoisseur fiorentino Stefano Bardini, noto come il “Principe degli antiquari”, di cui quest’anno si celebra il centenario dalla scomparsa.

Artista visivo e musicista, performer, pittore e scultore, Maggi mette in scena uno spettacolo continuo dove brandelli di leggende popolari, film dell’orrore, letteratura erotica e poesia romantica si innestano uno sull’altro creando un paesaggio estetico ibrido e mutevole, magico e insieme lugubre. Le sue opere sono frutto di una relazione intuitiva con una molteplicità di tecniche e linguaggi: dalla scultura alla performance, dalla pittura alla musica e alla danza.

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Officina Bardini

Dal 30 settembre al 20 novembre 2022 al museo Stefano Bardini una mostra in occasione del centenario della morte del principe degli antiquari Stefano Bardini

L’esposizione, curata da Giulia Coco e da Marco Mozzo, con il coordinamento scientifico di Carlo Francini e Valentina Zucchi, presenta un’accurata quanto preziosa selezione di documenti d’archivio, oggetti, strumenti di lavoro e testimonianze artistiche provenienti dalle collezioni di Palazzo Mozzi Bardini, tale da accompagnare il visitatore alla scoperta dell’attività imprenditoriale di Stefano e del figlio Ugo.

L’intento della mostra è quello di illustrare, nelle sue varie fasi, la metodologia di lavoro e il complesso sistema artigianale, e al contempo imprenditoriale, messo in atto dai Bardini attraverso il dialogo suggestivo fra alcune opere del civico Museo Bardini e un significativo nucleo di documenti, fotografie, manufatti e strumenti di lavoro conservati nel vicinissimo Palazzo Mozzi Bardini, di proprietà statale dal 1996 e in consegna alla Direzione regionale musei della Toscana (Ministero della Cultura).

Il Palazzo Mozzi Bardini, che Stefano acquistò nel 1911, era il cuore pulsante del complesso sistema imprenditoriale da lui ideato e diretto, una vera e propria “fabbrica dell’arte” dove artigiani, operai, artisti-restauratori iscritti nel suo registro paga producevano, restauravano e concretizzavano, il sogno del “Rinascimento italiano”. Oltre ai laboratori, l’edificio, situato proprio alle spalle dello showroom (oggi sede del Museo Bardini), ospitava anche gli uffici amministrativi e contabili e le sale di rappresentanza dove Stefano e Ugo portavano avanti i commerci e ricevano la clientela internazionale.

La mostra allestita al Museo Stefano Bardini, articolata in più sezioni, illustra il “dietro le quinte”, ovvero i saperi e i processi pratici e artigiani che sono alla base della creazione di opere in stile e dei celebri pastiches e delle rielaborazioni che costituiscono alcuni dei capolavori del museo, attività che si affiancava a quella per cui Bardini era universalmente conosciuto: il mercante internazionale di opere d’arte. Per la prima volta dai ricchi depositi di Palazzo Mozzi Bardini sono stati tratti oggetti, strumenti di lavoro ed elementi utili a restituire un’attività intensa e ricca: una selezione inedita di opere e manufatti, campioni e modelli, strumenti e materiali – ma anche di cataloghi, fotografie, repertori, lettere, colori e carte – permetterà quindi al pubblico di rivivere le atmosfere dell’“Officina Bardini”, mettendo in stretto dialogo i manufatti esposti con le opere contenute nelle sale del museo, amplificando la portata e il significato della mostra e completando in forma ideale la narrazione permanente.

Le opere e i manufatti esposti sono stati organizzati in forma coerente fra loro e con i diversi ambienti del museo: dopo un’introduzione sugli strumenti utilizzati da Bardini – fra cui compare il suo incredibile apparecchio fotografico con obiettivi – il percorso si snoda fra tessuticoramielementi lignei e decorazioni d’interni, dove spicca l’abilità di attingere a repertori antichi per interpretarli e riproporli secondo il gusto del tempo; un’attenzione speciale è dedicata poi ai rilievi di Madonne con Bambino, che tanto spazio ebbero nel commercio Bardini e a cui tuttora è dedicato ampio spazio in museo: in teca sarà possibile apprezzare forme e calchi di celebri esemplari, fra cui la Madonna Dudley e la Madonna delle nuvole di Donatello.

Anche la forma d’esposizione è originale: le teche sono state infatti progettate, disegnate e realizzate dal Laboratorio di Architettura e Autocostruzione del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, con cui l’Ufficio Patrimonio Mondiale collabora, dando vita a un percorso d’eccezione. Sulla base degli oggetti da esporre e delle ambientazioni del museo i giovani progettisti, coordinati dal professor Leonardo Zaffi, hanno definito supporti inediti, in grado di accogliere la varietà eclettica di manufatti e di dialogare con la collezione permanente con un tono elegante e contemporaneo.

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A willow grows aslant the brook

Dal 17 dicembre al 1° maggio 2022 al museo Stefano Bardini la prima personale dell'artista britannica Anj Smith in un museo italiano, in collaborazione con Hauser & Wirth

La mostra, a cura di Sergio Risaliti e organizzata da MUS.E, ospita una selezione di 12 opere in cui i paesaggi interiori dell’artista, popolati da volti, animali ed elementi surreali dipinti con grande maestria, dialogano con la straordinaria raccolta d’arte antica del Museo Stefano Bardini.

Dopo le mostre monografiche dedicate a artisti internazionali, le sale del museo sede della collezione dell’antiquario e connoisseur fiorentino Stefano Bardini tornano ad ospitare un’artista contemporanea, Anj Smith, la cui opera seduce e ipnotizza chi la osserva.
I suoi dipinti, realizzati con una perizia pari a quella di un miniaturista medievale o di un artefice di nature morte fiammingo-rinascimentali, non hanno nulla da invidiare a certi maestri del tempo antico. Nella sua maestria, tuttavia, non c’è mai nostalgia del passato o narcisismo artigianale. La tecnica non intende riprodurre fedelmente la realtà. La minuziosa magnificenza delle sue rappresentazioni spiazza l’osservatore, poichè porta con sé elementi di inquietudine. I ritratti e le nature morte hanno qualcosa di inquietante, sembrano quasi suggerire che troppa bellezza e troppo artificio possono allarmare. La raffinatezza e l’eleganza con cui sono costruite le rappresentazioni sembrano condividere il senso di fragilità e caducità della natura. Il suo lavoro è una straordinaria, attualissima, risposta alla vanitas più classica, una riflessione sul rapporto promiscuo ma affascinante tra bellezza e morte, tra pienezza e vacuità, tra piacere e insoddisfazione. I paesaggi di Anj Smith sono fantasie interiori da cui emergono creature ibride e oniriche. La storia dell’arte si combina con quella della moda, l’illustrazione scientifica con l’immaginario gotico, l’iconico con la retorica delle simbologie e allegorie medievali e rinascimentali. L’osservatore è invitato ad avere pazienza e a guardare con curiosità per entrare in queste meravigliose Wunderkammern, fare un viaggio che non è solo ottico ma mentale tra i repertori iconografici e le arti minori.

Come ogni grande capolavoro del passato, l’arte di Anj Smith ha un approccio, in primo luogo, radicalmente contro-culturale, in un clima attuale in cui l’informazione visiva viene costantemente divulgata per un consumo superficiale e frettoloso. Questa urgenza a rallentare, ragionare e pensare è pensata dall’artista come un balsamo per lenire il nostro presente tormentato. In secondo luogo, “la pausa richiesta per apprezzare appieno queste opere permette di ottenere molto più di questa agognata tregua dal rumore di fondo delle nostre vite complesse”, dichiara l’artista. Fondamentalmente promuove e coltiva un pensiero critico che trascende il piacere estetico, e che ha un indiscutibile valore di per sé. Per questo trova giusta collocazione nella città di Firenze, luogo in cui questa esplorazione e rivalutazione dei contesti storici non rappresenta nulla di nuovo. Firenze incarna una continua rivalutazione e rielaborazione di storie, un processo di comprensione che ha assicurato la continuazione del suo canone. E così, come dichiara l’artista,“ogni volta che mi trovo a Firenze percepisco la sua irresistibile e provocatoria magia e mi sento di nuovo ispirata ad aprire nuove frontiere”.

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Beautiful lies

Dal 30 aprile al 4 ottobre 2021 con la mostra dell'artista Ali Banisadr l'arte contemporanea entra in Palazzo Vecchio in Sala dei Gigli  e al Museo Bardini

Il Museo Novecento esce fuori dalla sua sede in Piazza Santa Maria Novella e come in precedenti occasioni propone un nuovo appuntamento con l’arte contemporanea internazionale in Palazzo Vecchio, nella Sala dei Gigli, e al Museo Stefano Bardini, dove dal 30 aprile al 29 agosto 2021 (al - solo - Museo Bardini la mostra è prorogata al 4 ottobre), si tiene Beautiful lies di Ali Banisadr (Teheran 1976), a cura di Sergio Risaliti, organizzata da Mus.e. Dopo aver lasciato l’Iran a soli dodici anni insieme alla famiglia, Banisadr ha raggiunto prima la Turchia e successivamente gli Stati Uniti, fermandosi in un primo momento a San Diego, successivamente a San Francisco e poi a New York, dove l’artista vive ancora oggi.  

La mostra, la prima dell’artista in un museo pubblico italiano e la prima a Firenze, mette la sua opera a confronto con l’arte e la storia di Firenze: al Museo Bardini i dipinti dell’artista saranno in dialogo con le opere della collezione creata da Stefano Bardini, con i marmi e le pitture medievali e rinascimentali, con i tappeti persiani e con le rilucenti armature conservate nel museo caratterizzato dal celebre ‘blu’ Bardini, mentre in Palazzo Vecchio, Banisadr è stato invitato a realizzare tre dipinti site-specific, ispirati dalla lettura della Divina Commedia di Dante in occasione delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta.

La foto di copertina è di Julia Niebuhr.

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Kevin Francis Gray

Dal 2 giugno al 21 dicembre 2020 il Museo Stefano Bardini presenta la mostra Kevin Francis Gray, curata da Antonella Nesi e dedicata all’artista di origini irlandesi

Promossa dal Comune di Firenze, è organizzata da Mus.e in collaborazione con Eduardo Secci Contemporary, grazie al generoso supporto di Moaconcept. La presenza delle opere di Kevin Francis Gray a Firenze testimonia e conferma il ruolo di primissimo piano che la città riveste nell’ambito della promozione dell’arte contemporanea.

Il profondo legame che sussiste tra Kevin Francis Gray e il territorio toscano è testimoniato dai lunghi anni di collaborazione tra l’artista e gli studi di lavorazione dei marmi di Pietrasanta. Ma è per la prima volta che, grazie a questa mostra, l’artista espone le proprie opere sul territorio fiorentino, alla ricerca di un dialogo diretto con i grandi maestri del passato. Nelle sale del Museo troviamo oltre venti lavori realizzati con diversi tipi di marmo: statuario, di Carrara, bardiglio, marquina e un’opera in bronzo. La devozione dell’artista nei confronti dell’arte del passato è testimoniata non solo dall’uso dei materiali, ma anche da quell’amore nei confronti dell’effimero, delle pose classiche e dei soggetti come magicamente avvolti da un velo atemporale.

Allo stesso tempo le statue rivelano però la loro natura più contemporanea: l’uso del non finito, la distorsione dei tratti somatici o la loro velatura ci mettono in contatto con la parte più umana e allo stesso tempo misteriosa del lavoro di Gray. E’ proprio grazie a questa compresenza di passato e presente che le opere creano  qui un legame con la classicità mantenendo quel contatto necessario col mondo contemporaneo e dimostrando così come una riconciliazione tra questi due mondi apparentemente opposti, sia non solo possibile, ma sempre più auspicabile.

Antonella Nesi, curatrice della mostra, sottolinea: “Le opere di Kevin Francis Gray richiamano la scultura più classica, fatta di perfezione tecnica e tensione verso una bellezza estetica impeccabile. Per questo motivo le sue sculture possono dialogare con i marmi ellenistici, con le essenziali forme scultoree medievali e con la perfetta forma rinascimentale della collezione plastica del Museo Stefano Bardini”. Il celebre antiquario ebbe infatti un particolare riguardo alla scultura, collezionando grandi capolavori con nomi di assoluta eccellenza, da Tino di Camaino a Nicola Pisano, da Donatello ad Andrea della Robbia.La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Gli Ori.

La mostra osserva gli stessi orari del museo. Ingresso incluso nel biglietto ordinario.

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A passi di danza

Dal 13 aprile al 22 settembre 2019 La prima mostra italiana dedicata alla danzatrice americana Isadora Duncan e al suo rapporto con le arti figurative italiane sarà ospitata a Villa Bardini e al Museo Stefano Bardini.

Isadora Duncan

L’esposizione a cura di Maria Flora Giubilei e Carlo Sisi, è promossa da Fondazione CR Firenze e da Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron, con il patrocinio del Comune di Firenze.

Dipinti, sculture e documenti, fra i quali fotografie inedite, ripercorreranno il legame con l’Italia di colei che rivoluzionò le teorie accademiche della danza, per avviare una moderna e innovativa visione del corpo femminile, e del suo movimento, nello spazio, prendendo le mosse dall’influenza che ebbe nel contesto internazionale. Sono circa 170 i pezzi che saranno allestiti su due piani di Villa Bardini e una speciale sezione dedicata alle grandi sculture sarà allestita nel Museo Stefano Bardini.

Dal 13 aprile al 22 settembre 2019

Villa Bardini (Costa San Giorgio 2)
Orario: 10-19, chiuso i lunedì feriali, ultimo ingresso ore 18.00
biglietti
: intero € 10.00, ridotto € 5.00
Tel 055 20066233 (da lunedì al venerdì 15-18 e mercoledì 10-13)
eventi@villabardini.it
www.villabardini.it


Museo Stefano Bardini (via dei Renai 37)
Orario: Lunedì, venerdì, sabato e domenica ore 11-17
biglietti
: intero € 7.00, ridotto € 5.50

Ai possessori del biglietto di Villa Bardini sarà applicata la tariffa ridotta per l' ingresso al Museo Stefano Bardini e viceversa

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Senza Data

Dal 26 gennaio al 25 marzo 2019 le sale del Museo Bardini ospitano Senza Data, mostra personale di Luca Pignatelli (Milano, 1962) a cura di Sergio Risaliti

Immagine mostra

Promosso dal Comune di Firenze, organizzato da MUS.E  in collaborazione con la Galleria Poggiali di Firenze, l’evento avvia un nuovo ciclo di mostre concepite con la cura scientifica del Museo Novecento e realizzate al di fuori degli spazi museali di Piazza Santa Maria Novella.

Attraversare il tempo

A distanza di poco più di tre anni da “Migranti”, la sua personale nella Sala del Camino della Galleria degli Uffizi, Luca Pignatelli torna a Firenze per un altro evento espositivo che testimonia il ripetuto attraversamento del tempo storico compiuto dalla sua arte in senso inverso rispetto a quanti citano il passato con accademica nostalgia. Nelle sale del Bardini saranno esposti una serie di lavori su telone ferroviario, legno, carta e lamiera, assieme a grandi dipinti realizzati su tappeti persiani di inizio novecento. Queste ultime produzione dell’artista saranno coerentemente associati alla vasta e rilevante collezione di tappeti del Museo stesso dal ‘400 ad oggi, compreso un manufatto tessile di oltre sette metri utilizzato in occasione della visita di Hitler a Firenze nel 1938. Una nuova serie di lavori su carta verranno, altresì esposti  in un allestimento site-specific che coinvolgerà le cornici e gli arredi presenti nella collezione del Museo.

I dipinti di Pignatelli ospitano al centro un variato materiale iconografico antiquario che strappato all’oblio o alla fossilizzazione, alla commercializzazione e al feticismo, restituisce in un linguaggio del presente l’esperienza stessa della classicità, come se quella civiltà non fosse mai svanita, o trapassata, ma fosse una reale presenza tra le immagini circolante tra noi.

In altre parole le sue immagini sono quelle di una classicità sempre viva e presente che non parla il linguaggio muto, inanimato della copia. Quelle sue figure collocate al centro dello spazio di rappresentazione vivono un tempo che si ripete identico al proprio originale ed entrano immediatamente in comunicazione con il nostro mutevole essere, divenire, trapassare.

Una classicità che integra e comprende anche l’archeologia del moderno, con le sue metropoli, le sue macchine a vapore, quelle volanti in cieli cupi, grandi navi che solcano gli oceani. Si ha l’impressione che Pignatelli sappia prelevare immagini dai repertori iconografici per isolare icone, figure che hanno la forza di veri e propri archetipi dell’inconscio collettivo, che si sono depositate non solo nella nostra memoria visiva, ma nei nostri sentimenti, nelle nostre emozioni. Come gli aerei da guerra che attraversano il tempo storico e trasformano in qualcosa di ancora presente l’incubo della tragedia bellica. O lo skyline di New York, un pezzo della nostra mitologia sentimentale che appartiene a tutti noi, in una sovrapposizione mnemonica collettiva, che è quella del cinema e della fotografia, della cronaca e dello spettacolo.

Nei dipinti di Pignatelli, le ‘teste’ di età greca o romana hanno spesse volte gli occhi chiusi, sono introverse, lasciano tutto in sospeso, facendoci avvertire solo l’eco di emozioni grandiose, immense, di qualcosa di infinito e senza tempo. Evocare la classicità, anche quella del modernismo, può significare per Pignatelli alludere a qualcosa di incommensurabile, fare spazio a un desiderio di grandezza e di vastità che ha qualcosa di sublime. Riconosciamo in tutto questo sentire, rivivere, un’esperienza neo-romantica della nostalgia che viene drammatizzata dall’uso di supporti poveri o industriali, carichi anch’essi di memoria, per una dialettica tra segni e materiali che non può essere ridotta a mera suggestione linguistica o cinica citazione. Un sentimento di ammirazione e nostalgia per la classicità e il modernismo con le sue illusione e le sue tragedie che non è tanto si rivolge verso la monumentalità per citarne la forma retorica ma vive di un desiderio di bellezza che la memoria rivela al soggetto contemporaneo quando sappia ritrovare il tempo della contemplazione attiva.

Sarà pubblicato un catalogo a colori edito da Forma edizioni con un saggio di Sergio Risaliti e la conversazione tra Luca Pignatelli e Pierluigi Panza.

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