Secondo piano, Torre e Camminamento di Ronda

Mappa secondo piano, torre e camminamento di ronda

Quartiere degli Elementi

Quartiere degli Elementi

Realizzato a seguito dell’ampliamento del Palazzo voluto da Cosimo I de’ Medici, il nuovo quartiere fu costruito sotto la direzione di Battista del Tasso tra il 1551 e il 1555 e subito dopo, su suggerimento di Giorgio Vasari, parzialmente modificato con il rialzamento dei tavolati dei soffitti. Questo intervento segnò l’inizio del lungo rapporto di collaborazione tra Cosimo I e Giorgio Vasari che, subentrato al Tasso come architetto e artista di corte, con l’aiuto dei suoi collaboratori, in tre anni decorò quasi tutti gli ambienti. La decorazione del Quartiere degli Elementi è legata a quella del sottostante Quartiere di Leone X da un programma iconografico unitario, elaborato dall’erudito Cosimo Bartoli.

Le pitture celebrano la genealogia degli “dei celesti” come principio e fine di tutte le cose. Il ciclo comincia, nella sala che dà il nome al quartiere, con la rievocazione delle origini dei quattro Elementi dell’Aria, dell’Acqua, del Fuoco e della Terra, generati dai semi di Urano sparsi da Saturno, e prosegue nelle altre stanze dedicate alla moglie di quest’ultimo, la dea Opi, e ai discendenti delle due divinità.

A ciascuno di questi ambienti corrisponde, al piano inferiore, una sala di uguali dimensioni dedicata a un personaggio illustre della famiglia Medici. Nelle intenzioni dell’autore del programma iconografico, questa sovrapposizione avrebbe dovuto esaltare le glorie e virtù degli “dei terrestri” di casa Medici stabilendo un collegamento tra l’ascesa al potere della dinastia e le origini degli “dei celesti”.

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Questo ambiente, dedicato ai quattro Elementi (Aria, Acqua, Fuoco, Terra), corrisponde alla sottostante Sala di Leone X. Così come gli Elementi furono all’origine di tutte le cose, Leone X creò le premesse per la fondazione del ducato mediceo della Toscana. Il soffitto è dedicato all’Aria, mentre le tre pareti senza finestre celebrano, rispettivamente, l’Acqua, il Fuoco e la Terra.

1555-1557
Pitture di Giorgio Vasari, Cristofano Gherardi e Marco Marchetti da Faenza, olio su tavola (soffitto) e affresco (pareti)
Camino su disegno di Bartolomeo Ammannati, marmo

L’ambiente principale, dedicato a Cerere, figlia di Saturno e Opi e dea dell’agricoltura, coincide con la sottostante Sala di Cosimo il Vecchio. Come Cerere provvedeva al benessere dell’umanità dispensando i frutti della terra, così Cosimo il Vecchio aveva procurato gloria e prosperità alla città di Firenze.

L’annesso scrittoio in origine ospitava miniature, bronzetti, medaglie e altri oggetti rari e preziosi della collezione del duca Cosimo I, collocati su mensole o dentro armadi e cassette.

1555-1558
Pitture: Giorgio Vasari, Cristofano Gherardi e Marco Marchetti da Faenza, olio su tavola (soffitti) e affresco (fregi)
Vetrata con la Toeletta di Venere: Gualtieri d’Anversa, su disegno di Giorgio Vasari e Marco da Faenza, vetro dipinto (Scrittoio di Calliope)

 

L’ambiente è intitolato a Opi, moglie di Saturno e dea della prosperità. Corrisponde alla sottostante Sala di Lorenzo il Magnifico, le cui doti diplomatiche furono riconosciute e apprezzate da molti sovrani, così come Opi fu adorata da numerosi popoli. La divinità compare al centro del soffitto, circondata dalle allegorie delle stagioni e dei mesi dell’anno, accompagnati dai rispettivi segni zodiacali

1555-1557
Pitture: Giorgio Vasari, Cristofano Gherardi e Marco Marchetti da Faenza, olio su tavola (soffitto) e affresco (fregio)
Pavimento con emblemi ducali: Santi Buglioni, terracotta

La sala di Giove, figlio di Saturno e Opi e padre di tutti gli dei, è situata sopra quella dedicata a Cosimo I. Tale corrispondenza vuole celebrare le glorie e le virtù del duca mediceo assimilandolo al re delle divinità celesti. La decorazione nel soffitto mostra l’infanzia di Giove che Opi fece allevare di nascosto e allattare dalla capra Amaltea, per evitare che fosse divorato dal padre Saturno, come i suoi fratelli. Amaltea qui rievoca il Capricorno, ascendente zodiacale di Cosimo I.

1555-1556
Pitture: Giorgio Vasari, Cristofano Gherardi e Marco Marchetti da Faenza, olio su tavola (soffitto) e affresco (pareti)

In origine l’ambiente si apriva su un loggiato a colonne costruito per offrire a Eleonora di Toledo, moglie del duca Cosimo, un affaccio sul quartiere di Santa Croce. In onore della duchessa, fu dedicato alla dea Giunone, sposa di Giove. Il progetto originario prevedeva la realizzazione di una fontana su modello di quella dipinta a monocromo sulla parete, a sua volta apparentemente ispirata al Putto con delfino di Verrocchio. Il loggiato, corrispondente al lato oggi privo di decorazioni, fu poi tamponato a seguito dell’edificazione dell’ultima ala del palazzo.

1556-1557
Pitture: Giorgio Vasari, Cristofano Gherardi e Marco Marchetti da Faenza, affresco
Stucchi: su disegno di Bartolomeo Ammannati (?)


    Putto con delfino
    Andrea del Verrocchio

    1470-1480 circa, bronzo

    Il Putto è una delle opere più rinomate e ammirate di Andrea del Verrocchio, orafo, scultore e pittore fiorentino molto apprezzato dai Medici, che gli affidarono diverse commissioni, come i monumenti funebri di Cosimo il Vecchio e dei suoi figli Piero e Giovanni nella basilica fiorentina di San Lorenzo. Verrocchio fu a capo di una fiorente bottega, nella quale si formarono artisti del calibro di Leonardo da Vinci e Perugino.

    L’artista realizzò questo Putto, ispirato a modelli di epoca greco-romana, per Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico. In origine il bronzo sormontava una fontana della villa medicea di Careggi. La committenza di Lorenzo e il confronto con alte opere dello scultore, come l’Incredulità di San Tommaso in Orsanmichele (1467-1483), portano a datarlo nell’ottavo decennio del Quattrocento.

    Nel 1557, per volontà di Cosimo I, il Putto fu trasferito in Palazzo Vecchio e collocato sulla fontana in porfido e marmo al centro del cortile di Michelozzo, realizzata da Francesco Ferrucci detto il Tadda, Raffaello di Domenico di Polo e Andrea di Domenico, su progetto di Giorgio Vasari e forse di Bartolomeo Ammannati. Per ragioni conservative, nel 1959 fu spostato all’interno del museo e sostituito nel cortile da una copia del bronzista Bruno Bearzi.

    In antico Palazzo Vecchio ospitava altri due bronzi di Verrocchio: un candelabro monumentale nella cappella dei Priori (Amsterdam, Rijksmuseum) e un David con la testa di Golia, venduto alla Signoria da Lorenzo e Giuliano de’ Medici e posto all’uscita della Sala dei Gigli (Firenze, Museo Nazionale del Bargello).

    Secondo la mitologia greca, Ercole nacque dall’unione del dio Giove con la mortale Alcmena. Per questo motivo fu odiato da Giunone, moglie di Giove, che tentò di ucciderlo inviando due serpenti nella sua culla. Dotato di forza sovrumana, Ercole è noto per le sue innumerevoli gesta eroiche, e in particolare, per le cosiddette dodici Fatiche. Da tali imprese dipende il parallelismo con la sottostante sala dedicata al valoroso condottiero Giovanni dalle Bande Nere, padre del duca Cosimo I.

    1556-1557
    Pitture: Giorgio Vasari e Marco Marchetti da Faenza, olio su tavola (soffitto) e affresco (fregio)

    Il terrazzo è dedicato a Saturno, il dio del Tempo, che divorò tutti i suoi figli per evitare che questi un giorno potessero spodestarlo, con la sola eccezione di Giove, salvato con l’inganno dalla madre Opi. Nella decorazione del soffitto, alludono al dio del Tempo le allegorie delle quattro età dell’uomo e delle ore del giorno. I due riquadri con storie di Saturno richiamano episodi della vita del papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) cui è dedicata la sala sottostante.

    1557-1566
    Pitture: Giorgio Vasari e Giovanni Stradano, olio su tavola

    L’annesso scrittoio di Minerva era destinato a ospitare le statue in marmo di piccolo formato della collezione del duca
    Cosimo I

    Quartiere di Eleonora

    Quartiere di Eleonora

    Il quartiere fa parte del primo nucleo dell’edificio, eretto tra la fine del Duecento e la metà del Trecento. Per due secoli ospitò gli alloggi privati dei membri dell’antico governo cittadino, i Priori delle Arti e il Gonfaloniere di Giustizia, che durante i due mesi del loro mandato risiedevano nel Palazzo in isolamento.

    Il duca Cosimo I de’ Medici, quando nel 1540 si trasferì nel Palazzo con la sua corte, destinò queste stanze alla moglie Eleonora, la figlia del viceré di Napoli don Pedro di Toledo che aveva sposato l’anno precedente. Tutti i membri della famiglia ducale avevano il loro appartamento privato in questa parte dell’edificio: Cosimo al primo piano e i figli sopra il Quartiere di Eleonora.

    I lavori di adeguamento degli ambienti alla funzione di stanze private della duchessa, affidati a Battista del Tasso, cominciarono subito, con la realizzazione, tra l’altro, della celebre cappella privata affrescata da Bronzino. Proseguirono tra il 1561 e il 1562 sotto la direzione di Giorgio Vasari che, con i suoi collaboratori, rialzò quasi tutti i soffitti e li decorò in lode di Eleonora di Toledo, con storie di antiche eroine ricordate per avere “paragonato le virtù degli omini” fino a superarle. Morta di malaria nel dicembre del 1562, la duchessa riuscì appena a vedere l’opera compiuta.

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    Questo è il primo degli ambienti che il duca Cosimo I de’ Medici volle ristrutturare al momento del suo trasferimento nel palazzo, tra il 1539 e il 1540. Deve il suo nome alle pitture di paesaggi che ne decoravano le pareti, andate perdute e oggi sostituite da una convenzionale tinta verde. Si conserva invece la decorazione a grottesche della volta, ispirata a modelli antichi e caratterizzata dalla presenza di numerosi pappagalli e di altre specie di uccelli. Si presume che l’aspetto originario della sala fosse simile a quello di una finta loggia. Le pareti e la volta furono affrescate da Ridolfo del Ghirlandaio (1540-1542), lo stesso pittore che circa trent’anni prima aveva decorato, in questo palazzo, la Cappella dei Priori.

    La cappella privata della duchessa Eleonora di Toledo, ricavata dal tamponamento della prima campata dell’ambiente preesistente (1539-1540) e decorata a più riprese da Agnolo Bronzino, tra il 1540 e il 1565, costituisce uno dei massimi capolavori del Manierismo fiorentino. Celebra la dinastia medicea attraverso un complesso programma iconografico incentrato sul tema dell’Eucarestia, ovvero di Cristo morto per la salvezza dell’umanità. Gli affreschi della volta evocano l’Apocalisse. Il confronto tra la pala d’altare con la Deposizione e le tre pareti affrescate, con storie di Mosè che prefigurano il sacrificio di Cristo e il mistero eucaristico, esalta il legame tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. I tre dipinti a olio su tavola nella parete di fondo furono cambiati, nel corso del tempo (1545-1564), dallo stesso Bronzino: la presente Deposizione rimpiazzò una prima versione quasi identica, donata da Cosimo al segretario dell’imperatore Carlo V (Besançon, Musée des Beaux-Arts); i due pannelli con l’Annunciazione sostituirono un San Giovanni Battista (Los Angeles, J. Paul Getty Museum) e un San Cosma (frammento in collezione privata).

    Si suppone che fosse utilizzato come studiolo o scrittoio il piccolo ambiente che si apre nella parete lunga della Camera Verde. Francesco Salviati ne decorò il soffitto, con grottesche e scenette mitologiche di ispirazione romana (1545-1548 ca.), dopo avere affrescato le pareti della Sala delle Udienze nell’adiacente quartiere dei Priori.

    Lo storico latino Livio narra che il re Romolo, dopo avere fondato Roma, rapì con l’inganno le donne del confinante popolo sabino e le condusse nella nuova città. I sabini mossero guerra a Roma, ma le donne, capeggiate da Ersilia, divenuta moglie di Romolo, evitarono lo scontro tra i due popoli gettandosi in mezzo ai combattenti e invocando la pace. L’episodio, rappresentato al centro del soffitto, celebra la virtù femminile della mediazione.

    1561-1562
    Pitture: Giorgio Vasari e Giovanni Stradano, olio su tavola
    Cornici: Battista Botticelli, legno e stucco dorato

    Ester, giovane ebrea di rara bellezza, secondo l’omonimo libro della Bibbia, venne scelta dal re di Persia Assuero come sposa, dopo il ripudio della regina Vasti. Ignorando le origini ebraiche della nuova moglie, Assuero ordinò di sterminare i Giudei, su suggerimento del suo consigliere Aman. Ester salvò il suo popolo intercedendo presso il marito. La decorazione della sala celebra Eleonora di Toledo nel suo ruolo di duchessa.

    1561-1562
    Pitture: Giorgio Vasari e Giovanni Stradano, olio su tavola
    Cornici: Battista Botticelli, legno e stucco dorato

    Nell’Odissea il poeta Omero narra che Penelope, durante la lunga assenza del marito Ulisse, re di Itaca, riuscì a evitare un nuovo matrimonio, rinviando la scelta di uno dei pretendenti alla conclusione di una tela che di giorno tesseva e di notte, di nascosto, disfaceva. L’episodio, rappresentato al centro del soffitto, celebra la fedeltà coniugale ed esalta il ruolo della donna che attende alle faccende domestiche mentre il marito è in guerra. Il fregio mostra le avventure di Ulisse durante il viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, qui elencate nell’ordine in cui sono narrate da Omero.

    1561 – 1562
    Pitture: Giorgio Vasari e Giovanni Stradano, olio su tavola
    Cornici: Battista Botticelli, legno e stucco dorato

    Secondo la tradizione, la bella fiorentina Gualdrada, vissuta nel XII secolo e ricordata nella Divina Commedia di Dante Alighieri, disobbedì all’ordine del padre di lasciarsi baciare dall’imperatore Ottone IV, in visita a Firenze, obiettando che solo il suo futuro sposo avrebbe potuto farlo. L’episodio qui rappresentato celebra le virtù della purezza e della pudicizia, ma allude anche all’indipendenza della città di Firenze. La relazione tra Gualdrada e Firenze è ribadita dalla decorazione del fregio che rappresenta vedute della città e delle sue feste tradizionali.

    1561-1562
    Pitture: Giorgio Vasari e Giovanni Stradano, olio su tavola
    Cornici: Battista Botticelli, legno e stucco dorato

    Sale dei Priori

    Sale dei Priori

    Come gli ambienti dell’adiacente Quartiere di Eleonora, queste sale si trovano nel nucleo più antico dell’edificio, costruito tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, e furono destinate a ospitare il Gonfaloniere di Giustizia e i Priori delle Arti, i membri dell’organo di governo della Firenze repubblicana che nei due mesi del loro mandato dovevano risiedere stabilmente nel Palazzo.

    Gli alloggi privati erano nell’area poi adibita ad appartamento della duchessa Eleonora di Toledo, mentre qui si trovavano gli ambienti di uso comune: la cappella per le funzioni religiose, nella quale si conservavano anche gli oggetti più preziosi del Tesoro della Signoria, e gli spazi in cui il Gonfaloniere e i Priori si riunivano e incontravano le altre magistrature, corrispondenti alle attuali sale delle Udienze e dei Gigli. Mentre nella zona degli alloggi gli interventi cinquecenteschi cancellarono ogni traccia dell’antica destinazione d’uso, in questa parte del piano Cosimo I de’ Medici si limitò a fare affrescare le pareti della Sala delle Udienze e costruire un nuovo volume, corrispondente all’attuale Sala delle Carte Geografiche. Quasi tutti gli ambienti, quindi, presentano ancora l’aspetto che avevano nel 1530, prima della caduta dell’ultima Repubblica fiorentina.

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    L’esistenza di una cappella dedicata a San Bernardo nell’area del palazzo riservata ai Priori è documentata fin dal XIV secolo, ma non si conosce con esattezza la sua originaria ubicazione. La costruzione della presente cappella fu commissionata a Baccio d’Agnolo dal gonfaloniere Piero Soderini all’epoca della prima Repubblica, nel 1511, e proseguì dopo la restaurazione medicea (1512). Ridolfo del Ghirlandaio, figlio del più noto Domenico, la decorò con soggetti religiosi, cartigli, insegne fiorentine e motivi ornamentali su fondo dorato a finto mosaico. Le volte assomigliano al soffitto della Stanza della Segnatura in Vaticano, dipinto da Raffaello. Trentadue iscrizioni latine, tratte dalla Bibbia e da autori classici o del primo cristianesimo, enunciano i principi morali e religiosi che avrebbero dovuto guidare le decisioni di governo di coloro che qui si raccoglievano in preghiera. La cappella era anche il luogo in cui si conservavano i documenti e gli oggetti più preziosi del Tesoro della Signoria, tra i quali il celebre codice delle Pandette di Giustiniano (533), sottratto alla città di Pisa e custodito, insieme a un raro Evangeliario greco (sec. XI), nell’armadio a muro a destra dell’altare, come ricorda l’iscrizione nella grata dipinta sugli sportelli (oggi nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze).

    Pitture murali: Ridolfo Bigordi detto il Ghirlandaio, affresco, 1511-1514

    Questo locale e l’adiacente Sala dei Gigli derivano dalla spartizione di una preesistente aula, grande come il sottostante Salone dei Duecento e definitivamente divisa in due ambienti da Benedetto da Maiano, con l’erezione di un muro in falso (1470-1472). All’epoca la sala era usata dalla Signoria per le riunioni e le udienze.

    Il duca Cosimo I, che qui riceveva i sudditi, la fece affrescare da Francesco Salviati con Storie di Marco Furio Camillo, il generale romano che, ritornato dall’esilio, liberò Roma dai Galli (390 a.C.). Analogamente, Cosimo de’ Medici, rientrato a Firenze solo dopo la morte del suo predecessore, era salito al potere e aveva sconfitto i nemici dello stato fiorentino.

    Soffitto e fregio: Giuliano da Maiano e aiuti, legno dorato e dipinto, 1470-1476 (?)
    Mostra di portale con la statua della Giustizia: Benedetto e Giuliano da Maiano, marmo, 1476-1480
    Porta con Dante e Petrarca: Giuliano da Maiano e Francesco di Giovanni detto il Francione, su disegno di Sandro Botticelli, legno intarsiato, 1476-1480
    Mostra di portale con il Monogramma di Cristo: su disegno di Baccio d’Agnolo, marmo, 1529
    Pitture: Francesco de’ Rossi detto il Salviati, affresco, 1543-1545

    Questo locale e l’adiacente Sala dei Gigli derivano dalla spartizione di una preesistente aula, grande come il sottostante Salone dei Duecento e definitivamente divisa in due ambienti da Benedetto da Maiano, con l’erezione di un muro in falso (1470-1472). All’epoca la sala era usata dalla Signoria per le riunioni e le udienze.

    Il duca Cosimo I, che qui riceveva i sudditi, la fece affrescare da Francesco Salviati con Storie di Marco Furio Camillo, il generale romano che, ritornato dall’esilio, liberò Roma dai Galli (390 a.C.). Analogamente, Cosimo de’ Medici, rientrato a Firenze solo dopo la morte del suo predecessore, era salito al potere e aveva sconfitto i nemici dello stato fiorentino.

    Soffitto e fregio: Giuliano da Maiano e aiuti, legno dorato e dipinto, 1470-1476 (?)
    Mostra di portale con la statua della Giustizia: Benedetto e Giuliano da Maiano, marmo, 1476-1480
    Porta con Dante e Petrarca: Giuliano da Maiano e Francesco di Giovanni detto il Francione, su disegno di Sandro Botticelli, legno intarsiato, 1476-1480
    Mostra di portale con il Monogramma di Cristo: su disegno di Baccio d’Agnolo, marmo, 1529
    Pitture: Francesco de’ Rossi detto il Salviati, affresco, 1543-1545

    L’ambiente fa parte di un corpo di fabbrica edificato nel 1511, all’epoca del gonfaloniere Piero Soderini, per raccordare il nucleo trecentesco dell’edificio con la Sala del Maggior Consiglio (attuale Salone dei Cinquecento) costruita alla fine del XV secolo. Vi si accede infatti da una delle finestre a bifora della parete est della Sala dei Gigli che prima dell’intervento si affacciava sul Cortile della Dogana. Questo locale in origine aveva finestre su entrambi i lati lunghi e ospitava l’ufficio del Primo Cancelliere della Repubblica, una figura che di fatto affiancava il gonfaloniere nella gestione del palazzo. Nel 1511 ricopriva tale carica l’umanista Marcello Virglio Adriani, la cui memoria sarebbe però stata offuscata da quella del coevo segretario della Seconda Cancelleria, il grande statista e letterato Niccolò Machiavelli, autore di celebri opere, come il Principe, la Mandragola e l’Arte della Guerra. A ricordo della funzione originaria dell’ambiente, nel secolo scorso qui furono pertanto collocate due effigi del Machiavelli, tra cui un busto ricavato da un calco della sua maschera funebre, donato dal collezionista Charles Loeser. All’epoca del duca Cosimo de’ Medici e dei suoi successori questo era uno dei locali della Guardaroba, dove si custodiva il patrimonio mobile del casato regnante.

    Sala delle Carte Geografiche o della Guardaroba

    All’epoca dei Priori la sala oggi detta delle carte geografiche non esisteva, come testimoniano le tracce delle finestre della confinante Cancelleria visibili nella parete a sinistra dell’ingresso. Quando il duca Cosimo I de’ Medici si trasferì nel palazzo, i locali limitrofi andarono a costituire il quartiere della Guardaroba, dove si custodivano tutti i beni mobili della corte. Questo ambiente fu realizzato successivamente da Giorgio Vasari (1561-1565), su richiesta di Cosimo, per assolvere la duplice funzione di stanza principale della Guardaroba e sala di cosmografia.

    Il progetto di allestimento della nuova sala, elaborato dal Vasari con la collaborazione del cosmografo Fra’ Miniato Pitti, prevedeva: nel soffitto, pitture raffiguranti le costellazioni; lungo le pareti, grandi armadi lignei, con tavole di geografia sulle ante e immagini della fauna e flora dei rispettivi territori sulle basi; al di sopra di questi, busti di principi e imperatori e trecento ritratti di uomini illustri. Infine, nel mezzo della sala, due grandi globi sarebbero dovuti apparire dall’alto in modo scenografico, all’apertura dei riquadri centrali del soffitto, quello celeste, rimanendo sospeso in aria, quello terrestre, calando fino al pavimento. L’idea di rappresentare in una stanza tutto il mondo conosciuto alla metà del Cinquecento rifletteva l’interesse di Cosimo per la geografia, le scienze naturali e i commerci. Tradiva però anche l’intento di celebrare il duca come dominatore dell’universo, nel ruolo che peraltro gli veniva allegoricamente attribuito dall’associazione del suo nome alla parola greca “kosmos”.
    L’ambizioso progetto rimase in parte incompiuto. Dionigi di Matteo Nigetti realizzò gli armadi in noce (1564-1571) che avrebbero ospitato, prima arazzi e altri paramenti, poi oggetti in argento e oro e infine armi antiche. Delle 53 tavole geografiche portate a compimento, 30 furono dipinte dal domenicano Egnazio Danti (1564-1575) e 23 dal monaco olivetano Stefano Bonsignori (1575-1586). Ventisette furono ricavate dalla Geographia di Tolomeo (II sec. d.C.), aggiornata secondo gli autori moderni, e le altre, tra cui quelle dell’America, da varie fonti più recenti. Egnazio Danti realizzò anche il grande globo terrestre (1564-1571) che però fu collocato altrove e ricondotto alla sua destinazione originaria solo nel secolo scorso. Al centro della parete di fronte all’ingresso fu posto l’Orologio dei Pianeti di Lorenzo della Volpaia che dal 1510 si conservava nell’attigua Sala dei Gigli. Di questo spettacolare orologio, andato distrutto nel XVII secolo, esiste una moderna ricostruzione nel Museo Galileo a Firenze. Cristofano dell’Altissimo cominciò infine a dipingere i ritratti di uomini illustri da sistemare sugli armadi, copiandoli dalla famosa collezione di Paolo Giovio a Como. Nel 1570 i ritratti erano già più di duecento, disposti su tre file, ma nel decennio seguente furono trasferiti nel corridoio della Galleria degli Uffizi, dove si vedono ancora oggi.

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    Torre e Camminamento di Ronda

    La Torre di Palazzo Vecchio accompagnata dal merlato Camminamento di Ronda, con i suoi 95 metri di altezza, svetta sulla città, costituendo uno dei suoi inconfondibili simboli e punti di riferimento. Appartiene al primo nucleo del palazzo, costruito tra il 1299 e l'inizio del Trecento, forse su progetto di Arnolfo di Cambio. All'interno della Torre, una scala in pietra di 223 gradini conduce all'ultimo livello di avvistamento merlato che offre una spettacolare vista sulla città.

    La severa struttura dell'edificio rispondeva a precise esigenze politico-amministrative, ma aveva anche la funzione  di proteggere gli organi di governo dagli attacchi esterni, come attestano la massiccia cortina muraria, il camminamento di ronda con i piombatoi e l'alta torre di avvistamento. La torre inoltre sovrastava simbolicamente le case-torri delle famiglie fiorentine che il governo del "Primo Popolo" aveva imposto di ridurre a un'altezza massima di circa 29 metri.

    E' costituita da due parti: la prima, realizzata entro il 1302, è inglobata nelle mura del palazzo e impostata sulle fondazioni di una preesistente torre dei Foraboschi, detta della Vacca; la seconda, completata nel successivo ventennio, si eleva in aggetto sui beccatelli del camminamento di ronda, con una soluzione architettonica ardita, dettata dalla volontà estetica di conferire continuità alla facciata dell'edificio.
    All'interno della torre, una scala in pietra di 223 gradini conduce all'ultimo livello di avvistamento merlato che offre una spettacolare vista sulla città. Lungo il percorso si apre una piccola cella, detta Alberghetto, dove furono imprigionati Cosimo il Vecchio nel 1433 (prima di essere esiliato da Firenze, per un solo anno, con l'accusa di avere tramato contro la repubblica) e Girolamo Savonarola nel 1498 (nell'attesa di essere giustiziato come eretico in Piazza della Signoria).
    Al di sopra si trovano le due celle campanarie, che ospitano la campana comunemente detta Martinella (con la funzione di chiamare a raccolta i Fiorentini), la Campana del Mezzogiorno e la Campana dei rintocchi. Sulla cuspide svetta la copia dell'antica banderuola segnavento raffigurante il leone Marzocco con il Giglio fiorentino, oggi custodita all'interno del palazzo. L'orologio conserva il meccanismo realizzato dal bavarese Georg Ledel nel 1667, mentre la mostra risale ai restauri novecenteschi.

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