Primo piano e mezzanino

Primo Piano e Mezzanino

Sala dei Duecento

Posta nel nucleo originario di Palazzo Vecchio risalente ai primi anni del XIV secolo, questa grande sala fu costruita per ospitare le riunioni del Consiglio fiorentino. Detta in origine Sala del Popolo o del Comune, assunse l’attuale denominazione nel XVI secolo, quando il duca Alessandro de’ Medici riformò il Consiglio portando a duecento il numero dei suoi componenti.

In antico vi si accedeva con una scala dal primo cortile ed era dotata di un recesso separato per gli scrutini, chiamato “segreto”, di una tribuna per la Signoria e le magistrature e di un altare.

Nell’ottavo decennio del XV secolo Giuliano da Maiano e i suoi collaboratori vi realizzarono il monumentale soffitto ligneo a lacunari, con rosoni circondati da gigli angioini, e il fregio ornato da ghirlande e scudi recanti le tradizionali insegne della città. In quegli anni la stessa rinomata bottega di legnaioli e scultori realizzò nel palazzo anche i soffitti dorati e dipinti delle soprastanti sale dei Gigli e delle Udienze.

Durante gli ultimi due periodi repubblicani della storia di Firenze (1494-1512; 1527-1530), il Consiglio, essendo stato notevolmente ampliato, si riuniva nella nuova grande aula che per esso era stata costruita, l’attuale Salone dei Cinquecento, e la “sala vecchia” veniva utilizzata dal Senato degli Ottanta.

L’antica destinazione d’uso della sala, ripristinata dal duca Alessandro de’ Medici (1532-1537), passò in secondo piano con il suo successore Cosimo I (1537-1574), che accentrò su di sé gran parte delle prerogative decisionali del Consiglio. Anche questo ambiente divenne quindi un luogo di rappresentanza e di celebrazione del potere mediceo, come denota il ciclo di arazzi con Storie di Giuseppe che Cosimo fece tessere per adornarlo sontuosamente.

All’epoca aveva probabilmente solo due accessi, uno nel lato breve, posto tra quelli che vi si aprono oggi, e l’altro coincidente con l’odierna seconda porta della parete lunga, come dimostrano anche le sagome a risparmio dei rispettivi portali presenti nel ciclo di arazzi con Storie di Giuseppe.

Ad eccezione di un breve periodo nel 1848, quando qui si riuniva il Senato della Toscana, solo dopo la cessione del palazzo al Comune la sala tornò al centro della vita politica della città, riacquistando nel 1872 la sua storica funzione di sede delle adunanze del Consiglio fiorentino, che svolge ancora oggi.

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Salone dei Cinquecento

Il Salone dei Cinquecento, nel suo aspetto attuale, è uno degli ambienti più rappresentativi del tardo Rinascimento fiorentino e della magnificenza della corte medicea.
Venne costruito alla fine del Quattrocento, quando il Palazzo era sede della Signoria di Firenze, da Simone Pollaiolo detto il Cronaca, su ispirazione di Girolamo Savonarola, per ospitare l’assemblea legislativa del nuovo ordinamento popolare proclamato dopo la cacciata dei Medici dalla città, un Consiglio cittadino di oltre mille membri che si riunivano in gruppi a rotazione. L’originaria Sala del Maggior Consiglio era molto diversa da quella attuale, più bassa di circa sette metri  e con finestre su tutti i lati.

All’inizio del Cinquecento Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti vennero incaricati di dipingervi due episodi gloriosi della storia militare di Firenze, rispettivamente, la Battaglia di Anghiari (1440) e la Battaglia di Cascina (1364), ma nessuno dei due artisti portò a termine l’impresa.
Il sontuoso aspetto che presenta oggi il salone si deve alle grandiose opere eseguite nel palazzo dopo che nel 1540 il duca Cosimo I de’ Medici aveva deciso di trasferirvi la propria residenza, per adattare l’antica austera sede della Signoria fiorentina alla sua nuova funzione di reggia principesca. Con l’insediamento della corte la vasta aula perse la sua originaria destinazione d’uso per diventare sala di rappresentanza, sede delle udienze pubbliche del duca e luogo di rappresentazione del suo potere assoluto.
Tutti gli elementi ornamentali del salone, infatti, concorrono a esaltare la gloria della famiglia medicea e di Cosimo I in particolare, secondo un programma unitario che prende le mosse dalla decorazione scultorea della testata nord, dove è ubicata l’Udienza, e trova l’apice nel riquadro centrale del soffitto.

Udienza
La sistemazione della testata nord (a sinistra rispetto all’ingresso principale) fu iniziata da Baccio Bandinelli e Giuliano di Baccio d’Agnolo poco tempo dopo la destinazione del palazzo a dimora ducale, ma fu terminata solo nell’ultimo decennio del Cinquecento, al tempo di Ferdinando I.
Le sculture lungo le pareti dell’Udienza, realizzate in tempi diversi da Baccio Bandinelli, Vincenzo de’ Rossi e Giovanni Caccini, celebrano la genealogia medicea attraverso alcuni dei suoi più illustri esponenti: nelle nicchie minori, da destra verso sinistra, lo stesso Cosimo I, seguito dal padre Giovanni delle Bande Nere, dal predecessore Alessandro de’ Medici e dal figlio Francesco I; nelle nicchie più ampie, al centro il papa Leone X e a destra il papa Celemente VII che incorona l’imperatore Carlo V.

Pareti
La decorazione pittorica della sala ebbe inizio più tardi, nella prima metà del settimo decennio, sulla base di un programma iconografico di Vincenzo Borghini e sotto la direzione di Giorgio Vasari, il noto pittore, architetto e storiografo di origine aretina cui si deve la maggior parte della straordinaria opera di ristrutturazione e ornamentazione del Palazzo voluta da Cosimo I. Collaborarono all’impresa diversi artisti, tra cui Giovan Battista Naldini e Giovanni Stradano.
Gli affreschi alle pareti, dipinti tra il 1567 e il 1571, rappresentano alcuni episodi di due importanti guerre della storia di Firenze.
Sulla parete occidentale, a sinistra, la guerra contro Pisa, combattuta dalla città di Firenze all’epoca del governo popolare e durata quattordici anni, dal 1495 al 1508. Il governo repubblicano che dovette cimentarsi nello scontro è il medesimo cui si deve la costruzione della sala nel suo impianto originario. La narrazione dei principali episodi di questa lunga guerra continua nelle tavole degli scomparti di sinistra del soffitto, con al centro il Trionfo di Firenze e nell’ottagono verso l’Udienza l’Orazione di Antonio Giacomini, che ci fornisce una rara testimonianza dell’assetto antico della Sala dei Duecento, l’altra importante aula di adunanze del palazzo.
Addossato alla parete, in corrispondenza del riquadro centrale del soffitto che celebra il trionfo delle milizie cittadine, è il modello finale in terra cruda del gruppo marmoreo del Giambologna raffigurante Firenze vittoriosa su Pisa, oggi nel Museo Nazionale del Bargello.
Alla guerra di Pisa fanno riscontro, nella parete opposta e nei riquadri del soffitto a questa più prossimi, alcuni episodi della guerra contro Siena, tra cui la suggestiva scena notturna della Presa del Forte presso la Porta Camollia, che diede inizio all’assedio della città nemica. Protagonista di questa guerra, combattuta tra il 1553 e il 1554, fu lo stesso duca Cosimo de’ Medici, che riuscì a condurre l’esercito fiorentino alla vittoria nell’arco di soli quattordici mesi, a fronte dei quattordici anni impiegati dalla Repubblica per sottomettere la città di Pisa. Il confronto tra le due guerre ha lo scopo di esaltare l’efficacia del potere assoluto e le capacità personali di Cosimo I rispetto alla scarsa efficienza del governo repubblicano, come evidenzia il dipinto del soffitto che mostra il duca intento a meditare in solitudine, con il supporto delle Virtù, l’impresa della conquista di Siena, in contrapposizione con l’affollato dibattimento dell’Orazione di Antonio Giacomini.
Anche su questo lato, al centro, in corrispondenza del riquadro del soffitto raffigurante il Trionfo di Firenze, è posto un gruppo scultoreo che ha la funzione di simboleggiare la sottomissione della città nemica. In realtà, in questo caso la scultura assunse tale significato in un secondo momento, per effetto del suo trasferimento nel salone proposto da Vasari, in quanto si tratta del celebre Genio della Vittoria scolpito da Michelangelo Buonarroti per il monumento funebre del papa Giulio II e rimasto incompiuto nello studio dell’artista alla sua morte, nel 1564.

Soffitto
Sebbene sotto l’aspetto del programma iconografico i dipinti del soffitto costituiscano l’epilogo della celebrazione sottesa alla decorazione dell’intero salone e in tale ordine debbano essere letti, questa parte del progetto fu la prima ad essere realizzata da Vasari e dai suoi collaboratori, in quanto doveva essere terminata entro il 1565, per le nozze di Francesco I, figlio del duca Cosimo, e Giovanna d’Austria.
I pannelli prossimi ai lati lunghi mostrano, come si è detto, episodi della guerra di Pisa a sinistra e della guerra di Siena a destra.
I dipinti alle due estremità raffigurano, in chiave allegorica, i quattro Quartieri della città di Firenze – due per lato, negli scomparti circolari – circondati dai domini del ducato di Cosimo I.
I pannelli centrali recano importanti episodi della storia di Firenze, tra cui la Fondazione della città in epoca romana e l’Allargamento delle mura in epoca medievale, ovvero Arnolfo di Cambio che presenta alla Signoria il progetto per l’edificazione della terza cerchia.
Al centro della decorazione Cosimo I trionfa come signore assoluto della città e di tutti i territori annessi al ducato, circondato dalle insegne di Firenze e delle ventuno Arti e da putti che recano gli emblemi del suo potere. Una fanciulla, simboleggiante la città di Firenze, gli pone sul capo una corona di fiori.

I gruppi scultorei ai lati della sala, a destra e a sinistra della Firenze vittoriosa su Pisa del Giambologna e del Genio della Vittoria di Michelangelo, rappresentano sei Fatiche d’Ercole. Vennero scolpiti da Vincenzo de’ Rossi per una fontana mai portata a compimento e collocati nel salone solo nel 1592.
Nelle nicchie della testata sud sono quattro sculture provenienti dalla copiosa collezione di marmi antichi di Ferdinando I de’ Medici.

Verso la testata sud, sulla destra, si trova un’apertura che si affaccia sullo Studiolo di Francesco I, un luogo privato, al limite della segretezza, cui in antico si accedeva soltanto dall’appartamento del duca, realizzato tra il 1570 e il 1575 per ospitare gli oggetti di minori dimensioni e più preziosi della collezione medicea. Gli oggetti erano conservati all’interno degli armadi che si celano dietro gli sportelli decorati da dipinti di forma ovale. La decorazione della volta e delle pareti, opera di più di trenta diversi artisti, è in relazione con l’antico contenuto degli armadi e sviluppa il tema del rapporto tra Natura e Arte, dando al piccolo e raffinato ambiente la connotazione di un ideale  microcosmo.

 

 

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Studiolo di Francesco I

Il Museo di Palazzo Vecchio offre al pubblico uno dei suoi ambienti più suggestivi e ricercati: lo Studiolo di Francesco I de' Medici, straordinaria "guardaroba di cose rare et pretiose" in grado  ancora oggi di restituire non solo la visione del mondo naturale nel Cinquecento ma anche tutto il fascino che questa esercitava sul Granduca, appassionato studioso delle meraviglie che potevano scaturire dall'incontro fra la Natura e l'Arte.

La costruzione dello Studiolo, compiuta tra il 1570 e il 1575 su progetto dell’architetto e pittore di corte Giorgio Vasari e dell’erudito Vincenzo Borghini, fu commissionata da Francesco de’ Medici che nel 1564 era subentrato al padre Cosimo I nella guida del ducato toscano in qualità di reggente.

Il piccolo ambiente faceva parte dell’appartamento privato del duca e vi si accedeva unicamente dalla camera da letto sul lato opposto a quello del colle­gamento con il Salone dei Cinquecento, aperto nel XIX secolo. Sia la collocazione che la conformazione rispecchiano i canoni di questa particolare tipologia di ambienti, comuni nelle regge principesche fin dal Medioevo e destinati, oltre che allo studio, ad acco­gliere gli oggetti più preziosi e di piccolo formato delle collezioni di famiglia, che i proprietari mostravano solo a ospiti speciali.

Francesco I infatti ne richiese la costruzione per riporvi ‘certe sue cose’ e lo ‘stanzino’, come era allora chiamato, venne concepito alla stregua di ‘una guardaroba di cose rare et preziose et per valuta et per arte, come sarebbe a dire gioie, medaglie, pietre intagliate, cristalli lavorati et vasi, ingegni et simil cose, non di troppa grandezza, riposte nei propri armadi, ciascuna nel suo genere’.

Gli armadi si aprono nello spessore della muratura lungo il registro inferiore delle quattro pareti, dietro i dipinti di forma ovale che, insieme alle rispettive cornici, ne costituiscono gli sportelli.

Secondo l’invenzione di Borghini, ogni lato dello Studiolo era dedicato a uno dei quattro Elementi della natura e raggruppava nei relativi armadi tutti gli oggetti ritenuti appartenenti a quella categoria, come le pietre o le ossa intagliate per la Terra, i distillati e i vetri e metalli forgiati con il calore per il Fuoco, i cristalli per l’Aria o le perle per l’Acqua.

La decorazione degli sportelli e del soprastante registro in lastre di lavagna, alternate a sculture in bronzo entro nicchie, rifletteva il contenuto degli armadi con scene bibliche, mitologiche, storiche,

allegoriche e di genere, allusive alle qualità degli oggetti che vi si custodivano.

L’intero programma iconografico dello Studiolo è dunque dedicato a celebrare il rapporto tra Arte e Natura, in linea con gli interessi di Francesco I, ricordato non tanto per azioni di governo, quanto piuttosto per la sua passione per le scienze e l’assiduità con cui praticava in prima perso­na l’alchimia, lo studio dei fenomeni “occulti” e varie altre attività sperimentali, dalla fusione del vetro alla ricerca della formula della porcellana.

Il fulcro dello schema iconografico coincide con la decorazione ad affresco della volta che mostra un cosmogramma, con al centro la personificazione della Natura che tende una pietra preziosa a Prometeo, rappresentante l’Arte come inventore delle gemme e degli anelli, e intorno le allegorie dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco), delle quattro qualità (freddo, umido, caldo, secco), dei quattro temperamenti dell’uomo (malinco­nico, flemmatico, sanguigno, collerico) e delle quattro stagioni (nelle lunette, a fianco dei ritratti dei genitori del committente).

Il particolare fascino dell’ambiente si deve sia all’originalità dell’invenzione che al felice risultato dell’unione dei contributi dei trentuno artisti diversi, quasi tutti membri della fiorentina Accade­mia del Disegno, che furono chiamati a realizzarla, in competizione l’uno con l’altro. Questa peculiarità fa dello Studiolo una vera e propria summa del tardo Manierismo fiorentino, comprendente opere di alcuni dei più rinomati pittori e scultori dell’epoca, tra cui lo stesso Vasari, Alessandro Allori, Giovanni Stradano, Bartolomeo Ammannati e Giambologna.

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Il Quartiere di Leone X

Quartiere di Leone X

Il quartiere si trova nel nucleo dell’edificio costruito per volontà del duca Cosimo I de’ Medici intorno alla metà del Cinquecento. L’ampliamento fu realizzato da Battista del Tasso che ricavò il nuovo corpo di fabbrica demolendo, e in parte inglobando, gli edifici due-trecenteschi delle antiche sedi del Capitano e dell’Esecutore degli Ordinamenti di Giustizia.

Quando il Tasso morì nel 1555, gli subentrò Giorgio Vasari che, secondo un programma iconografico unitario elaborato dall’erudito Cosimo Bartoli, portò avanti contemporaneamente la realizzazione di queste sale e la decorazione di quelle del piano superiore.

Ognuna delle sale del quartiere è dedicata ad un personaggio illustre della famiglia Medici e mostra nelle decorazioni le sue imprese più significative: Cosimo il Vecchio, Lorenzo il Magnifico, il condottiero Giovanni delle Bande Nere, il papa Leone X (che dà il nome al quartiere), il papa Clemente VII e lo stesso Cosimo I.

A ciascuna di queste stanze corrisponde, al piano superiore, una sala di uguali dimensioni del Quartiere degli Elementi dedicata a una divinità pagana, secondo un preciso disegno, volto a paragonare l’ascesa al potere degli “dei terrestri” di casa Medici alle origini della genealogia degli “dei celesti”.
Alcune sale del quartiere sono visitabili solo in occasione di aperture straordinarie in quanto tradizionalmente destinate a ospitare gli uffici del Sindaco di Firenze

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Cosimo il Vecchio (1389-1464), capostipite del ramo principale della famiglia Medici, guidò di fatto l’ascesa politica ed economica di Firenze, ponendo le basi del potere mediceo e guadagnandosi l’appellativo di Pater Patriae (Padre della Patria). Le pitture ricordano alcuni momenti e aspetti salienti del suo successo, come il rientro trionfale a Firenze, a distanza di appena un anno dall’esilio cui lo avevano condannato gli avversari, e il suo ruolo di mecenate, protettore di artisti e letterati e fautore di importanti opere architettoniche.

1556-1558
Pitture: Giorgio Vasari e Marco da Faenza, olio su tavola (soffitto) e affresco (pareti)
Stucchi: Leonardo Ricciarelli, Giovanni di Tommaso Boscoli e Mariotto di Francesco, su disegno di Bartolomeo Ammannati

Figlio di Piero il Gottoso e nipote di Cosimo il Vecchio, Lorenzo de’ Medici (1449-1492) proseguì l’opera dei suoi progenitori, accentrando su di sé il controllo politico ed economico della repubblica fiorentina. Convinto che l’equilibrio tra gli stati italiani avrebbe tenuto lontane le intromissioni straniere, si fece onore come promotore di accordi di pace e di alleanza.

Fu detto Magnifico per le sue eccezionali doti intellettuali. Sostenitore dell’Accademia Platonica, autore di rime e prose volgari, raffinato collezionista, protettore di artisti del calibro di Michelangelo Buonarroti, condizionò il gusto della sua epoca, favorendo lo sviluppo e la diffusione della matrice umanistica del Rinascimento fiorentino.

1556-1558
Pitture: Giorgio Vasari e Marco da Faenza, olio su tavola (soffitto) e affresco (pareti)
Stucchi: Leonardo Ricciarelli, Giovanni Boscoli e Mariotto di Francesco, su disegno di Bartolomeo Ammannati (?)

Giovanni de’ Medici (1475-1521), figlio di Lorenzo il Magnifico, divenuto cardinale a soli quattordici anni ed eletto papa con il nome di Leone X nel 1513, pose le basi del futuro ducato mediceo della Toscana. Le sue mire espansionistiche garantirono ai Medici l’acquisizione di nuovi domini, come il ducato di Urbino. Cresciuto nel dotto e raffinato ambiente del Magnifico, portò alla corte pontificia fasto e splendore e, proseguendo la politica di mecenatismo del suo predecessore Giulio II, fece di Roma il principale polo culturale e artistico del primo Cinquecento.

1555-1562
Pitture di Giorgio Vasari, Giovanni Stradano e Marco da Faenza, olio su tavola (soffitto) e affresco (pareti)

Il Quartiere del Mezzanino

Mezzanino
  1. Stanza del Terrazzino
  2. Stanza della Torre
  3. Stanza da desinare (Donazione Loeser)
  4. Stanza d'angolo (Donazione Loeser)
  5. Sala dei Gigli d'oro (Donazione Loeser)
  6. Sala del Marzocco

Il Quartiere del Mezzanino è situato tra il primo e il secondo piano di Palazzo Vecchio, nel nucleo più antico dell’edificio risalente all’inizio del XIV secolo, intorno al cortile detto di Michelozzo.

All’epoca dei Priori fu sede di importanti magistrature, come i Dieci di Balia e il Consiglio dei Settanta, e poi anche dimora privata del gonfaloniere a vita Piero Soderini. Ristrutturato alla metà del Quattrocento da Michelozzo di Bartolomeo, cui si devono le sue caratteristiche finestre circolari, non fu interessato che marginalmente dalle opere di trasformazione dell’edificio in reggia ducale volute da Cosimo I de’ Medici dopo il 1540 e per tale ragione è il quartiere di Palazzo Vecchio che conserva più integro l’aspetto austero di una residenza di origine medievale.
Nel periodo ducale ospitò l’alloggio di Maria Salviati, madre di Cosimo I de’ Medici, dal 1540 al 1543 e poi quelli dei fratelli della duchessa Eleonora, Don Francesco e Don Luigi di Toledo. Dopo il trasferimento della corte medicea a Palazzo Pitti venne progressivamente occupato dalla Guardaroba e dalle sue pertinenze.

Nel XIX secolo era sede dell’Ufficio del Dazio e Consumo che vi rimase fino al 1929, quando, per volontà dell’amministrazione comunale, proprietaria dell’edificio dal 1871, anche questi ambienti furono inseriti nel grande piano della ristrutturazione e conversione in museo dei quartieri monumentali di Palazzo Vecchio.
I lavori di restauro riportarono alla luce tutte le testimonianze della storia secolare del Quartiere che oggi ne connotano i diversi ambienti, come il leone in pietra della prima scala esterna del Palazzo dei Priori da cui prende il nome la Sala del Marzocco, i due soffitti lignei dipinti dello stesso ambiente e della Sala dei Gigli d’oro (gli unici del XIV e del XV secolo ancora interamente visibili nel museo), gli antichi ‘agiamenti’ (gabinetti), il lavabo e l’armadio a muro per stoviglie della Stanza da desinare e i resti di uno studiolo di Cosimo I prospiciente la Stanza del Terrazzino.

Nel 1934, terminati i lavori, alcune stanze del Quartiere vennero arredate con le opere d’arte e i mobili d’epoca del legato con il quale il collezionista americano Charles Alexander Loeser aveva voluto contribuire all’allestimento del nuovo museo di Palazzo Vecchio e che da allora costituiscono la cosiddetta Donazione Loeser, una delle collezioni comunali di maggiore pregio storico e artistico.

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La Donazione Loeser di Palazzo Vecchio riunisce le oltre trenta opere d’arte e i mobili d’epoca che il collezionista americano Charles Alexander Loeser legò alla sua morte (1928) al Comune di Firenze, con l’intento di contribuire alla ricostruzione delle antiche ambientazioni di Palazzo Vecchio cui stava allora attendendo l’amministrazione cittadina.

Il legato era subordinato al rispetto di diverse condizioni. In primo luogo, al riconoscimento da parte dello Stato italiano della possibilità per gli eredi del donatore di esportare le rimanenti opere della sua collezione senza oneri di alcun genere. Lo Stato stipulò un accordo con il Comune concedendo l’autorizzazione in cambio della rinuncia da parte dell’amministrazione cittadina al possesso e all’uso di tre raccolte comunali: le collezioni Carrand, Ressman e Franchetti conservate nel Museo Nazionale del Bargello.
Altre condizioni testamentarie riguardavano le modalità dell’allestimento della Donazione che avrebbe dovuto essere esposta in alcune sale di Palazzo Vecchio e mantenuta unita in perpetuo, con un ordinamento che non conferisse all’ambiente l’aspetto abituale di un museo, ma facesse apparire ogni stanza “semplicemente bella per il riposo e il divertimento del visitatore”. In linea con le intenzioni del donatore e i criteri che avevano guidato fino ad allora l’allestimento degli ambienti monumentali del Palazzo, la raccolta fu sistemata nelle sale centrali del Quartiere del Mezzanino in modo da rievocare l’arredamento tipico delle dimore signorili della Firenze rinascimentale e aperta al pubblico nel 1934.
Come nelle residenze medicee e nelle abitazioni dei collezionisti del tempo di Loeser, che dalle descrizioni di quelle antiche dimore traevano ispirazione, le opere di arte italiana di epoca medievale e rinascimentale che compongono la Donazione convivono nelle suggestive sale del Mezzanino secondo accostamenti di carattere puramente estetico, alla stregua di elementi di arredo. Tra le più importanti, si possono citare un Angelo di Tino di Camaino, una Madonna col Bambino di Pietro Lorenzetti, due gruppi in terracotta della bottega di Giovan Francesco Rustici ispirati alla Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci, il Ritratto di Laura Battiferri di Agnolo Bronzino e il modello in cera dell’Ercole e l’Idra del Giambologna.
Dal 2004 l’Associazione Charles Loeser collabora con i Musei Civici Fiorentini per la conservazione, lo studio e la valorizzazione della Donazione. Grazie al sostegno di questa associazione, l’amministrazione comunale ha intrapreso un articolato programma di interventi di restauro e analisi delle opere della raccolta.

Charles Alexander Loeser
Il collezionista e studioso di arte Charles Alexander Loeser nacque a New York nel 1864 da una famiglia di origine tedesca.Terminati gli studi in Storia dell’Arte alla Harvard University di Boston, sotto l’influenza del suo compagno Bernard Berenson, nel 1888 Loeser decise di partire per l’Italia e di trasferirsi a Firenze dove avrebbe sposato la pianista Olga Lebert Kaufmann e trascorso il resto della sua vita.
Nel capoluogo toscano Loeser coltivò i suoi studi, incentrati sui disegni antichi, ma soprattutto si dedicò al collezionismo di oggetti d’arte, come molti altri anglo-americani residenti a Firenze in quegli anni.
La sua considerevole raccolta, dal 1915 radunata nella Villa Torri Gattaia nei pressi di San Miniato al Monte, comprendeva, alla sua morte, più di duecentocinquanta stampe e disegni antichi, numerosi mobili d’epoca e opere di pittura, scultura e arte applicata, per un totale di quasi mille oggetti di pregio. La maggior parte erano oggetti di arte italiana medievale e rinascimentale, ma non mancavano neppure opere contemporanee, come i celebri dipinti di Cézanne, pittore del quale Loeser fu uno dei primi estimatori. Caratterizzava la collezione l’austera sobrietà con la quale questi pregevoli oggetti di arte e antiquariato arredavano i vari ambienti della villa.
Charles Loeser morì a New York nel 1928. Con il testamento redatto due anni prima aveva disposto che alla sua morte l’intero nucleo di stampe e disegni antichi venisse donato al Fogg Art Museum dell’Università di Harvard, che il Presidente degli Stati Uniti potesse scegliere otto dei suoi Cézanne per “l’adornamento della Casa Bianca” e che la selezione di oltre trenta opere d’arte e di mobili d’epoca da lui indicata fosse legata al Comune della sua città di adozione ed esposta in Palazzo Vecchio come "Donazione Loeser".

Ancora oggi la Donazione arreda alcune sale del Quartiere del Mezzanino di Palazzo Vecchio secondo canoni estetici affini a quelli che connotavano gli interni delle dimore signorili della Firenze rinascimentale e che i collezionisti dell’epoca di Loeser tendevano a rievocare nelle loro private abitazioni.

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