Felicità metropolitane alla Biblioteca delle Oblate

Nel mese di settembre ospiti della rassegna: Matteo Bussola, Guido Vitiello, Chiara Giaccardi e Mauro Magatti

Nell'ambito dell'ottava edizione della rassegna "Felicità Metropolitane" la Biblioteca delle Oblate ospita nel mese di settembre 3 incontri con autori di fama nazionale per raccontare la contemporaneità e per sottolineare l'intimo legame tra cultura, educazione e felicità.

La rassegna è a cura dell'Associazione culturale La Nottola di Minerva 

Gli incontri sono ad ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili e si terranno nell'altana Marielle Franco.

Per informazioni telefonare al numero 055 2616512 oppure scrivere all'indirizzo bibliotecadelleoblate@comune.fi.it

Presentazione del libro di Guido Vitiello "La lettura felice. Conversazioni con Marcel Proust sull'arte di leggere" Il Saggiatore, 2024)

L’autore dialoga con Raffaele Palumbo
Letture a cura di Federica Miniati
Introduce Matteo Abriani

La lettura come gioia, come arte, come scoperta sconfinata. Se oggi tutto congiura per uccidere il piacere di leggere che nutre e libra lo spirito, che fa zampillare da noi vite su vite, che ci offre universi di specchi e prospettive, quel piacere è un fuoco da non lasciar spegnere, un sapore da centellinare in bocca, un profumo da non smettere di annusare.

Muovendo dunque da un concetto di lettura intesa come avventura plurisensoriale, oltre che intellettuale e emotiva, Guido Vitiello, saggista da sempre attratto dalle metamorfosi che il leggere produce (suo Il lettore sul lettino, 2021), con "La lettura felice Conversazioni con Marcel Proust sull’arte di leggere", si rivolge inevitabilmente all’autore della "Recherche", come a un porto brulicante di luci affetti e riflessioni, sia espressamente tratte dal saggio proustiano "Del piacere di leggere" ("Sur la lecture", 1905), sia dalle pieghe caleidoscopiche e mai del tutto esplorabili della "Recherche" stessa.

La forma prescelta per l’indagine è quella dialogica, cifra della vicinanza e dell’affezione, ma anche della prossimità di un’interlocuzione dai confini liquidi, in cui non è solo Vitiello a immedesimarsi in Proust - tanto che a volte si crea una gradevole difficoltà a distinguere cosa appartenga all’uno e cosa all’altro – ma è anche Proust che, travalicando i limiti del tempo e della morte, colloquia con Vitiello e in lui si specchia in una sorta di osmosi delle parole.

Altra chiave di volta è la cavea senza fine dell’autobiografia secondo l’incomparabile cifra stilistica proustiana, che non solo è matrice primaria della "Recherche", ma è anche la fonte di ogni immedesimazione sia per Vitiello sia per i lettori e le lettrici di Proust, in un gioco concentrico di rimandi, di evocazioni e di ricordi, con folgoranti apparizioni di istanti della propria vita. Istanti rivissuti e materializzati nella propria interiorità ma al tempo stesso conosciuti tutt’altro che in un isolamento “senza porte né finestre”.

Scrive infatti Vitiello: “Essere insomma da solo ma in compagnia, solo di una solitudine amorevolmente vegliata: era questa la condizione a cui la lettura prometteva di rinnovare l’accesso ogni volta che lo desiderassi. L’ingresso in un libro conferiva alle ore una densità misteriosa, chiamando a raccolta intorno alla mia testa assorta un nugolo di testimoni discreti e silenziosi”. Giunge quindi a contemplare la Recherche come un poliziesco - Swann come Poirot - la stratificazione infinita del testo, la sua inesausta indagine sui personaggi, tra dubbi, bugie e ambiguità come una ricerca che mai smette di darsi e di far scaturire scintille della nostra più autentica umanità.

Presentazione del libro di Matteo Bussola "La neve in fondo al mare" (Einaudi, 2024)

L’autore dialoga con Stefano Miniati
 

“Siamo Ulisse e Telemaco all’incontrario, il padre che attende il ritorno del figlio squassato dai flutti più pericolosi, quelli delle aspettative disattese, dei sensi di colpa che piegano la schiena, del non sentirti all’altezza del mondo, del non sentirmi all’altezza di te”.

Sono i sentimenti di un padre sbattuto nell’attesa straniante e dolorosa di un reparto di neuropsichiatria infantile, dove assiste il figlio sedicenne che rifiuta di nutrirsi.

La neve in fondo al mare, l’ultimo romanzo di Matteo Bussola – scrittore e fumettista (sua la copertina che evoca un’immersione a testa in giù in un sofferenza gelata ma non priva di respiri di luce) – non teme di inoltrarsi tra le pieghe della relazione genitori figli, vissuto che raramente fa notizia e che il discorso pubblico contemporaneo per lo più rimuove, occultando anche come rappresenti uno dei gangli cruciali dello stato di salute profonda di un’intera società. (Specie di una come la nostra che relega il benessere e le opportunità dei ragazzi all'ultimo posto).

Sono dunque territori spesso dimenticati e aspri, ma Bussola vi si addentra con sensibilità coraggiosa e pulviscolare, allargando lo sguardo su altri genitori spaesati, nonché su altri adolescenti, che da quel reparto continuano a lanciare segnali di disagio e al tempo stesso a chiudersi in se stessi, a comunicare e a non comunicare, a desiderare di essere “visti” e di sparire, a volere protezione e al contempo autonomia.

Tutto questo in un andirivieni tra il presente, inteso come il tempo altro e dilatato dell’ospedale, che impone forzatamente l’uscita dalle mappe percettive che il padre si era costruito fino a quel momento, e il passato dei ricordi del figlio bambino, alla ricerca spasmodica di dettagli, di momenti, di cause e di ragioni per cui i nodi hanno cominciato ad avvilupparsi, i muri familiari silentemente a creparsi, fino alla scoperta deflagrante di quella neve in fondo al mare.

Una neve che è capacità empatica di essere ora il padre e ora il figlio, nella consapevolezza che anche il padre e i genitori tout court non possono smettere mai di evolversi e di imparare da quanto accade, come non possono mai permettersi di depotenziare le loro antenne di ricezione sul sentire anche sotterraneo dei figli.

In questo senso, la solitudine affilata dell’esperienza individuale trova sollievo - come Bussola acutamente mette in risalto – solo nell’alveo di un tracciato comunitario (quello che oggi tanto ci manca), che conduce i genitori a solidarizzare e i figli empaticamente a rispecchiarsi nelle loro reali fragilità e insieme nel loro latente patrimonio di risorse.

Con tutte le sue forze di scrittore ricettivo al disagio profondo insito nelle relazioni primarie ai nostri tempi, Bussola invita dunque a un risveglio dell’osservazione e dell’immedesimazione profonda, consapevole che “adolescente è participio presente, mentre adulto è participio passato”.

Presentazione del libro di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti "Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo" (Il Mulino, 2024)
 

Gli autori dialogano con Wlodek Goldkorn e Maria Cristina Carratù

Letture a cura di Federica Miniati

Introduce Matteo Abriani

 

È ormai un fondale squarciato e pieno di crepe l’idea di un capitalismo dallo sviluppo virtuoso e illimitato, di una crescita a dismisura senza effetti collaterali squassanti su gran parte della popolazione mondiale, di vite umane debordanti e rapaci votate all’individualismo più spinto, che però siano in grado di rispettare l’ecosistema in cui sono inscritte senza falcidiarlo.

“Il mondo che siamo arrivati a desiderare, se abbandonato a se stesso, distruggerà i presupposti stessi della vita”. Citano Judith Butler nel loro "Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo", Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, facendo scaturire la loro riflessione dal constatare l’immane avanzamento delle condizioni di vita che gli ultimi due secoli hanno prodotto sul pianeta.

Un miglioramento che ha generato un aumento demografico (dall’inizio del Novecento da uno a otto miliardi di persone), e della longevità, l’evoluzione dell’alimentazione e delle condizioni di esistenza, nonché delle cure mediche: dunque un incremento formidabile di vita per diversi miliardi di esseri umani sulla terra.

Ciò nonostante - come sottolinea Huizinga, citato dai due autori - nelle società iperconnesse del benessere e del consumo coattivo “la fiamma vitale è bassa”, come se tutti questi raggiungimenti non ci avessero portato gioia e senso di realizzazione ma sovente dipendenze, depressione e deprivazione relazionale.

Soprattutto però si tratta di un processo di crescita non ancora universale e interamente inclusivo, bensì di un tracciato segnato da innumerevoli ombre e contraddizioni, da entropia e da esiti deflagranti da un punto di vista climatico, da migrazioni e squilibri demografici, da disuguaglianze che sono ancora come ferite aperte sulla pelle del pianeta. E tutto questo non riguarda solo il nostro presente ma si estende drammaticamente sul vissuto delle generazioni a venire.

Innanzi a questi scenari palesemente liminali e agli sgoccioli, quello che occorre, nella visione di Giaccardi e Magatti - è innanzitutto un passaggio culturale che ci emancipi dalla cornice epistemologica in cui la modernità è tutt’ora concepita: in primis uscendo dall’individualismo che frammenta la società in tante monadi isolate e irraggiungibili l’una per l’altra, dalla omnipervasività della logica tecno-economica che rende ogni cosa soltanto dato, quantità e che non considera l’unicità qualitativa della singola persona.

Il principio da cui dunque far germinare una concezione della vita sostenibile per noi e per il nostro mondo è un principio di relazione grazie al quale siamo parte integrante della natura e non suoi dominatori incuranti e dispotici, un principio che ci lega gli uni agli altri in maniera interdipendente. Lo afferma la scienza, è un concetto abbracciato dalle religioni.

È solo in questa accezione consapevole che possiamo generare libertà, non con prevaricazione annientante, ma con imprescindibile rispetto e cura verso noi stessi e verso il nostro ecosistema.

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