“A questo mondo la violenza è una sorta di fatalità. In un Paese sottosviluppato come il mio, la violenza è esteriore, epidermica, è presente in ogni momento della vita individuale, è la radice di tutti i rapporti umani”
Così rispondeva l'autore a chi, al momento della pubblicazione, gli chiedeva se La ciudad y los perros (bruciato in piazza dai militari, considerato dalla critica il migliore tra i suoi romanzi), fosse un romanzo “sulla violenza”. E la violenza, fisica e non, fa da sfondo al microcosmo del Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l'educazione del protagonista-alter ego dell'autore. Un collegio retto da militari secondo una disciplina militare in cui confluiscono sia i figli delle classi inferiori ammessi per merito sia quelli delle classi alte mandati lì dalle famiglie nella speranza di domarli, e dove la sopraffazione, la forza bruta, il dispotismo sono le leggi della convivenza, a dispetto di regolamenti e norme.
“Ero un bambino viziatissimo, presuntuosissimo, cresciuto, faccio per dire, come una bambina...Mio padre pensava che il Leoncio Prado avrebbe fatto di me un uomo, ricorda Vargas Llosa, ma per me fu come scoprire l'inferno”.
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