Continua il turn over di appuntamenti con cinque nuove mostre
In un anno e poco più dal restyling degli spazi e dall'avvio del nuovo progetto scientifico culturale, il Museo Novecento si può finalmente definire come un vero museo-kunsthalle, orientato sui diversi fronti della valorizzazione e dell'aggiornamento, con un'apertura che va dagli inizi del XX secolo all'attualità. Aprono al pubblico cinque nuove mostre studiate e costruite per soddisfare le diverse aspettative e i molteplici interessi scientifici e di gusto.
12 luglio - 17 ottobre 2019
Appuntamento con una nuova grande mostra dedicata al disegno nelle sale al primo piano del Museo Novecento. Si intitola “Nel Novecento. Da Modigliani a Schiele da De Chirico a Licini” l’esposizione curata da Saretto Cincinelli e Stefano Marson e resa possibile grazie a Leofrance, che vede protagonista un gruppo di 42 disegni di artisti italiani e stranieri del XX secolo, tutti di proprietà della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
I disegni provengono dalla raccolta di opere grafiche del museo, che si compone di circa 13.000 fogli tra disegni, stampe e incisioni di artisti dei secoli XIX e XX. La selezione fiorentina ha inteso mettere in dialogo i due musei, a partire dalla presenza nel Museo Novecento di Firenze della collezione di Alberto Della Ragione e rintracciando nelle raccolte grafiche della Galleria Nazionale i disegni degli stessi artisti collezionati dall’ingegnere, come Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, Renato Guttuso, Osvaldo Licini, Mario Mafai, Giorgio Morandi, Enrico Prampolini e Mario Sironi.
Così, quattro disegni di Telemaco Signorini – fra i quali il bellissimo Lo studio del pittore –, scelti all’interno di un ampio nucleo posseduto dalla Galleria Nazionale, vogliono ricordare l’iniziale passione dell’ingegnere per i pittori macchiaioli, con l’acquisto di opere dello stesso Signorini, di Giovanni Fattori e Silvestro Lega, poi rivendute. Oppure, tre preziosi disegni di Amedeo Modigliani scelti per rievocare il celebre autoritratto del 1919 oggi a San Paolo in Brasile, posseduto dal collezionista per molti anni e poi anche questo ceduto, o infine un bel disegno di Oskar Kokoschka, che ricorda come Alberto Della Ragione fosse in principio interessato anche a opere di questo artista e all’Espressionismo tedesco.
Dal disegno di Kokoschka la selezione si è estesa fino a includere un raro e prezioso nucleo di disegni di artisti espressionisti, come Egon Schiele, Otto Dix, George Grosz e Ludwig Kirchner. Di questi ultimi due artisti sono presenti alcuni disegni che, assieme a quello di Kokoschka, furono requisiti dai nazisti a importanti musei tedeschi per essere esposti alla celebre Mostra dell’arte degenerata di Monaco di Baviera del 1937, quindi riacquistati e salvati dal pittore Emanuel Fohn e infine donati dalla moglie nel 1967 alla Galleria Nazionale, su richiesta di Palma Bucarelli allora direttrice del museo. Va sottolineato che Sofie Fohn e Palma Bucarelli si conobbero due anni prima proprio a Firenze, in occasione della storica mostra sull’Espressionismo allestita a Palazzo Strozzi per la XXVII edizione del Maggio Musicale Fiorentino, dedicato quell’anno da Roman Vlad a musica e teatro espressionista.
La mostra è anche l’occasione per ricordare che Alberto Della Ragione ha donato opere non solo a Firenze ma anche alla Galleria Nazionale di Roma, o per ricordare che alcune di quelle presenti nelle sue raccolte hanno avuto un passaggio nella collezione dell’ingegnere, come il Ritratto di Ungaretti di Scipione o la celebre Crocifissione di Renato Guttuso, acquista da Alberto Della Ragione in occasione del IV Premio Bergamo, poi restituita all’artista e in seguito da questi donata alla Galleria Nazionale. La presenza infine di un disegno di Gustav Klimt si ricollega alla decisiva conoscenza delle opere dell’artista viennese fatta da Arturo Martini e Felice Casorati, due tra gli artisti più amati da Alberto Della Ragione, che ebbero modo di trarre ispirazione dal lavoro del maestro in occasione della Biennale di Venezia del 1910.
A cura di Saretto Cincinelli e Stefano Marson
La mostra Nel Novecento. Da Modigliani a Schiele da De Chirico a Licini è resa possibile grazie a Leofrance.
12 Luglio – 17 Ottobre 2019
Il Museo Novecento inaugura la prima mostra personale in un museo italiano dell’artista cilena Sandra Vásquez de la Horra (Viña del Mar, Cile, 1967), a cura di Rubina Romanelli.
La mostra, all’interno dello spazio Room, prosegue il ciclo di mostre di artiste donne iniziato con Maria Lai e successivamente con il duo Goldschmied & Chiari. Vásquez de la Horra ha studiato con Jannis Kounellis e Rosemarie Trockel e ha vinto premi importanti come il Prix de dessin Daniel & Florence Guerlain. L’esposizione al Museo Novecento è un’occasione unica per osservare un corpus di lavori appartenenti alla produzione degli ultimi anni. Inoltre, alcune opere sono state realizzate appositamente per l’occasione, dopo che l’artista si è lasciata ispirare dalle opere di Mario Sironi presenti nella collezione permanente.
Sandra Vásquez de la Horra lavora col medium del disegno che immerge poi nella cera e da questa è per sempre “sigillato”, conferendogli una pelle traslucente ed un senso di profondità. Le potenti immagini che abitano i suoi lavori provengono dall’inconscio, dalla memoria, da una ricerca trasversale interculturale, da una visione sincretica delle religioni e da un suo approccio quasi antropologico verso il mondo.
L’artista è cresciuta in una famiglia cattolica conservatrice durante la sanguinosa dittatura di Augusto Pinochet (1973- 1990). I suoi disegni hanno spesso come protagoniste delle donne o delle figure, che appaiono in un ambiente vuoto, senza sfondo, in posizioni o situazioni surreali o fantastiche, di rischio, talvolta erotiche. L’ampio vocabolario simbolico da cui attinge evoca anche la complessa storia latinoamericana, fatta spesso di scontri brutali e sottomissioni che drammaticamente perseverano tutt’oggi. I disegni, inchiodati direttamente alle pareti, nella loro nudità non lasciano scampo e si impongono allo spettatore spiazzandolo, imponendo un dialogo diretto e talvolta violento. Il suo stile e il suo vocabolario simbolico sono altamente riconoscibili. Mentre in passato ha lavorato su disegni di piccole dimensioni collocandoli sulle pareti in composizioni e giustapposizioni, nel lavoro più recente ha sviluppato grandi formati che vengono qui presentati insieme ai recenti sviluppi tridimensionali del suo lavoro: le “case” e i “leporelli”. Questi subiscono lo stesso trattamento dei disegni, vengono prima disegnati, poi immersi nella cera e hanno la caratteristica di unire due medium che raramente convivono: il disegno e la scultura. La prima casa è stata concepita partendo dalla memoria dell’abitazione modernista a Viña del Mar in cui l’artista abitò da bambina e che è ancora fonte di grande ispirazione. Al Museo Novecento viene presentato un ulteriore sviluppo del suo lavoro: la sua prima casa “aperta”, realizzata per questa mostra e nata ispirandosi a Mario Sironi di cui l’artista ha ammirato il lavoro durante il suo primo sopralluogo al Museo Novecento. Questa, diversamente dalle precedenti, è disegnata nel suo interno e simile ad un teatrino, con un uso cromatico decisamente più vario rispetto ai lavori del passato e ispirata, dice l’artista, anche dalla permanenza fiorentina e dai canoni prospettici rinascimentali. I leporelli, che consistono in fogli di carta piegati a fisarmonica, sono dei libri/sculture che verticalmente si annunciano al mondo. È presentata anche la piccola scultura “Yo soy Casa”, ultimissima produzione dell’artista e prima di una nuova serie mai esposta prima.
In “Lazarus”, un Lazzaro dalle sembianze asiatiche ormai risvegliato che cammina affiancato da due cani, evoca il movimento migratorio cinese verso l’America Latina. Allo stesso modo il disegno “América sin Fronteras” mostra una madre terra da cui entrano ed escono liberamente dei personaggi, in una fluidità di confini. “You Are Always on My Mind” potrebbe fare riferimento alla famosa canzone degli anni ’70 interpretata anche da Elvis Presley e che parla di un amore nostalgico, o forse fa riferimento all’ossessione che coglie l’artista nella sua ricerca. “Aguas Profundas” rappresenta un uomo che cade a capofitto, un salto pindarico o forse il destino ignoto verso cui ognuno di noi è costretto ad andare; potrebbe anche metterci davanti a un frammento di quell’oscuro momento della storia in cui i prigionieri, chiamati poi desaparecidos, venivano lanciati ancora in vita dagli aerei. Sicuramente è desiderio di Sandra Vásquez de la Horra andare più a fondo, alla ricerca di significati, nelle acque profonde.
A cura di Rubina Romanelli
12 luglio – 10 ottobre 2019
Gino Severini (Cortona 1883 – Parigi 1966) è il protagonista del quinto appuntamento di Solo, ciclo espositivo che intende offrire un conciso e studiato ritratto di alcuni grandi maestri del Novecento.
La mostra , resa possibile grazie al sostegno di Banca Monte dei Paschi di Siena, si concentra sulla produzione risalente agli anni Venti e Trenta dell’artista toscano, proponendo una selezione di opere in cui l’iconografia dei soggetti è legata alla Commedia dell’arte, al teatro e alla musica. A partire dagli anni Venti, Severini si appassiona infatti alle figure e alle vicende di maschere della commedia dell’arte, come Pulcinella e Arlecchino. Clown, saltimbanchi, eroi del circo stavano affascinando numerosi artisti quali Picasso, Gris e Rouault, musicisti come Stravinskij, che aveva composto nel 1919-1920 il balletto neoclassico «Ballet avec chant» Pulchinella (Musique d’après Pergolesi), e impresari come Djagilev. Le occasioni principali per cimentarsi con questi temi sono rappresentate per Severini dalla decorazione di due ambienti privati: il Castello di Montegufoni, di proprietà di Sir George Sitwell, nei pressi di Firenze (1921-22) e la Maison di Léonce Rosenberg, suo mercante francese, a Parigi (1928-29).
L’esposizione ospitata nelle sale al secondo piano del museo, riporta per la prima volta in Italia una selezione di gouaches relative alla Sala delle Maschere di Montegufoni, dove Severini recupera la tradizione dell’affresco. La mostra presenta inoltre quattro dei sei pannelli che decoravano la dimora Rosenberg, in cui paesaggi classici ricchi di riferimenti all’antico sono animati dalle maschere. Completano la mostra alcuni disegni preparatori relativi ad entrambe le decorazioni e diversi documenti che attestano le ricerche attorno a questi soggetti: materiali che rivelano con vivida concretezza lo studio della geometria e delle leggi della proporzione che ha guidato Severini nell’elaborazione delle forme e che nutrirà anche le pagine di Du Cubisme au classicisme (1921). La ricerca di una purezza stilistica incontra le vicende umane e sociali rappresentate dalle maschere, restituendo un mondo gioioso, ma al tempo stesso malinconico. Queste opere, successive alla stagione delle avanguardie, si inseriscono nella tendenza ad un nuovo classicismo, tipica del clima artistico e culturale tra le due guerre, che trova in Severini un attento anticipatore come testimoniato dalla celebre Maternità del 1916, con la quale si apre la mostra.
Gino Severini (Cortona, Arezzo 1883 – Parigi 1966) si trasferisce giovanissimo a Roma, dove conosce Umberto Boccioni, con cui frequenta lo studio di Giacomo Balla avvicinandosi alla tecnica divisionista. Dal 1906 si sposta a Parigi, alternando soggiorni e viaggi in Italia. Nella capitale francese frequenta gli ambienti della bohème e stringe amicizia con artisti come Modigliani, Braque, Picasso e Gris, e con poeti e critici quali Apollinaire, Jacob e Fort.
Tra i firmatari del Manifesto della pittura futurista (1910), nel 1912 partecipa alla prima mostra collettiva dei futuristi presso la Galleria Bernheim-Jeune di Parigi. I lavori di questo periodo, vicini alle ricerche cubiste e futuriste, indagano la visione simultanea dello spazio e del tempo, ottenuta con una scomposizione dei piani. Allo scoppio della Prima guerra mondiale prosegue le proprie ricerche in più direzioni, fino ad approdare ai volumi solidi e classici dell’opera Maternità (1916), esposta in mostra. Nel 1921 pubblica Du Cubisme au classicisme, in cui anticipa il clima europeo del “ritorno all’ordine”. Queste teorie verranno applicate anche negli affreschi eseguiti nel castello di Montegufoni nel 1921 su commissione di Sir George Sitwell e grazie al tramite di Léonce Rosenberg, suo mercante parigino. Tornato a Parigi, frequenta il filosofo cattolico Maritain e inizia a dedicarsi a temi sacri, lavorando a grandi cicli decorativi. In quegli anni è tra gli esponenti degli Italiens de Paris e in Italia partecipa alle principali manifestazioni di ambito nazionale. Al 1929 risale la decorazione con Pulcinella e altre maschere per Casa Rosenberg a Parigi, dove lavora al fianco di Savinio, De Chirico e Picabia. Si dedica molto anche alla scenografia, con lavori per il Maggio Musicale Fiorentino e La Fenice. Nel dopoguerra si stabilisce a Meudon e prosegue la sua ricerca stilistica, con un interesse crescente verso l’astrazione.
A cura di Lino Mannocci e Sergio Risaliti
La mostra è sostenuta da Banca Monte dei Paschi di Siena.
12 luglio 2019 - 17 ottobre 2019
Il quinto appuntamento che il Museo Novecento dedica a The Wall (format espositivo site-specific che propone la sintesi e l’elaborazione visiva tipica dell’infografica sviluppato lungo una parete di 12 metri) vede ancora una volta al centro il tema della sostenibilità.
Cosa significa costruire in modo sostenibile? Questo tema, complesso e sfaccettato, è stato illustrato, sul “muro” al piano terra del Museo, attraverso il racconto del rapporto tra uomo e natura, della sua evoluzione nel corso della storia, che ha alimentato l’innovazione nel campo dell’architettura e dei materiali. Fin dal mito di Prometeo, l’uomo ha sempre tentato di oltrepassare una linea di demarcazione data dalle condizioni esterne, ma in presenza di un limite, in occasione di una crisi, è sempre stato in grado di produrre grandi innovazioni e trasformare una criticità in opportunità. La timeline di Sustainable Thinking Evolution “esplode” in uno spazio lungo dodici metri in cui vengono riportati le architetture, gli eventi e i fenomeni culturali che sono specchio di un agire sostenibile.
Sustainable Thinking Evolution vuole essere un racconto di come il rapporto tra uomo e natura, alla base del concetto di sostenibilità, si sia evoluto nel corso della storia, con un focus in particolare sulle innovazioni nel campo dei materiali da costruzione e dell’architettura. Questo racconto, curato da Mario Cucinella Architects e SOS- School of Sustainability è stato suddiviso, all’interno della programmazione del Museo Novecento, in tre appuntamenti: il primo cominciato ad aprile e appena conclusosi, il secondo il partenza il 12 luglio (fino al 17 ottobre) e il terzo, e ultimo, ad ottobre. Le tre macro-fasi della timeline verranno gradualmente esplorate e popolate degli avvenimenti, scoperte e creazioni che hanno contribuito all’evoluzione del pensiero sostenibile.
Lo studio MC A, fondato nel 1992 dall’architetto Mario Cucinella, da anni realizza progetti architettonici caratterizzati da un’attenzione all’integrazione tecnologica con le strategie ambientali e climatiche per realizzare edifici che, possano ridurre il loro impatto ambientale in vista degli obiettivi Europei del 2020 e 2030. L’architetto Cucinella ha creato nel 2015 SOS – School of Sustainability, scuola post graduate, orientata alla formazione di una nuova generazione di professionisti nel campo della sostenibilità, per le grandi sfide globali in campo economico, ambientale e sociale.
a cura di Mario Cucinella Architects e SOS – School of Sustainability
12 luglio 2019 – 17 ottobre 2019
È Adolfo Natalini il protagonista del sesto appuntamento di Paradigma. Il progetto periodico ideato da Sergio Risaliti curato da Laura Andreini e realizzato grazie a Manifattura Tabacchi che vede al centro di volta in volta i progetti di celebri architetti, collettivi e studi di architettura del panorama contemporaneo disposti sopra e intorno al tavolo, supporto per eccellenza per la creazione di un architetto.
Per un professionista dell’architettura il tavolo è lo specchio di un’organizzazione mentale dove, tra una pila di fogli, l’agenda ed il portapenne, si ritagliano il proprio spazio oggetti legati ai rapporti personali, alle idee, alle abitudini.
Adolfo Natalini porta in mostra al Museo Novecento, nel loggiato coperto al piano terra, una selezione dei suoi preziosi disegni ripercorrendo la storia di uomo e di architetto attraverso le pagine dei quaderni che lo hanno accompagnano sempre, in ogni momento della sua carriera e in ogni luogo.
La sua mano è instancabile fin dal 1954, anno in cui ha iniziato a mettere su carta, con minuziosa attenzione, tutto ciò che lo circonda: “disegnavo la mia mano, ritratti di compagni di scuola, paesaggi, autoritratti”, spiega. Pistoiese di nascita si trasferisce a Firenze negli anni dell’Università dove si laurea in Architettura. Nel 1966 fonda il gruppo d’avanguardia Superstudio che inaugura la stagione dell’Architettura Radicale e che lo porterà ad esporre le sue opere in una mostra al MoMa di New York nel 1972. Conclusa l’esperienza dei Superstudio, nel 1978, inizia la carriera da progettista. Tra le maggiori opere si ricordano: la ricostruzione della Waagstraat a Groningen, il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze, la Dorotheenhof sulla Manetstrasse a Lipsia, la Muzenplein a l’Aja, il Centro Commerciale di Campi Bisenzio, il Polo Universitario di Novoli, Boscotondo a Helmond, Het Eiland a Zwolle, Haverlej a Den Bosch, il Museo dell’Opera del Duomo e il progetto per i Nuovi Uffizi.
Il disegno rimane comunque la pratica principale perseguita in ogni momento della vita. Ogni segno è legato ad un pensiero; ogni architettura è legata ad uno schizzo. Il disegno dona un ordine ai suoi pensieri: instancabili flussi creativi di un grande protagonista dei nostri tempi.
A cura di Laura Andreini
Paradigma. Il tavolo dell’architetto è un progetto realizzato grazie a Manifattura Tabacchi e con il sostegno di Sto Italia.