Qui abitava Nathan Cassuto
Il Rabbino Nathan Cassuto z. l. nacque a Firenze l’11 ottobre 1909. Era figlio del Professor Umberto Cassuto z. l., studioso eminente in campo biblico ed ebraistico, noto a livello internazionale; aveva insegnato a Firenze e in seguito a Roma e a Gerusalemme. La madre di Nathan era Bice Corcos z. l. ed ebbe tre sorelle: Milka, Lea e Hulda. Era un ragazzo molto serio e precoce e si diplomò al Liceo-Ginnasio Michelangiolo di Firenze risultando il miglior allievo delle scuole superiori della Toscana. Si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze, frequentando contemporaneamente anche il
Collegio Rabbinico: la figura del rabbino medico è abbastanza consueta nella tradizione ebraica, soprattutto in quella italiana. Si laureò in Medicina e Chirurgia nel 1933 e frequentò in seguito la Scuola di Sanità Militare a Costa S. Giorgio a Firenze. Terminato il corso come ufficiale medico, nel 1934 si sposò con Anna Di Gioacchino, dolce, coraggiosa, fedele compagna che condivise con lui i momenti più tragici di una vita nobile e breve.
Nel 1935 vinse una borsa di studio della fondazione americana Rockefeller per la ricerca sul cancro, ma proprio allora scoppiò la guerra d’Etiopia e Nathan Cassuto, richiamato alle armi e posto di servizio a Roma, dovette rinunciare a partire per gli Stati Uniti. Tornato a Firenze, nel luglio del 1938 si specializzò in oculistica e svolse opera di assistente volontario presso la Clinica universitaria diretta dal professor Lorenzo Bardelli.
Quando, non molto tempo dopo, entrarono in vigore le leggi razziste Cassuto fu espulso dalla Clinica, ma Bardelli, che lo stimava molto, gli permise di assistere alle operazioni come osservatore, in disparte. Si racconta che un giorno durante un intervento complesso Bardelli, vedendo che i suoi nuovi collaboratori erano in difficoltà, irritato si volse verso Nathan esclamando: «al diavolo le leggi razziali! Cassuto, venga ad aiutarmi!» La legislazione fascista interruppe una brillante carriera medica ed un’attività di ricerca scientifica in campo oculistico che aveva già dato importanti frutti.
Nel 1939 conseguì la laurea rabbinica a Roma, dove da alcuni anni si era trasferito da Firenze il Collegio Rabbinico. Cercò di emigrare in Eretz Israel, allora sotto il Mandato britannico, con la sua famiglia, ma non gli fu possibile per le restrizioni poste dalle autorità inglesi. Anche la sorella minore Hulda, che si era appena sposata, non ottenne il permesso di partire. Raggiunse invece Gerusalemme il padre Umberto Cassuto, con il resto dei familiari, essendo stato chiamato a insegnare all’Università Ebraica. Il padre si mise subito alla ricerca di un lavoro per il figlio: solo così Nathan avrebbe potuto ottenere dal governo mandatario un certificato di immigrazione. Quando finalmente si trovò un posto per lui come assistente presso il celebre oftalmologo gerosolimitano Abraham Albert Ticho, l’Italia entrò in guerra e furono chiuse le frontiere. Questo segnò il destino del giovane Cassuto che nel 1939 aveva accettato la carica di vice rabbino nella Comunità Ebraica di Milano; parallelamente svolse un’opera fervida e appassionata di insegnante di materie ebraiche presso la scuola media superiore ebraica di via Eupili nella stessa città. Gli insegnanti e gli studenti ebrei a causa della legislazione razziale erano stati espulsi dalle scuole statali e venivano quindi organizzati corsi all’interno delle Comunità.
Nathan Cassuto contribuì in maniera determinante a rendere l’istituzione scolastica milanese un centro esemplare di educazione ebraica e di solidale umanità, suscitando l’affetto e la devozione dei suoi allievi. Nel 1943 tornò a Firenze e nel febbraio si insediò come Rabbino Capo di una comunità oppressa da gravi disagi, in un momento storico di estremo pericolo. Nella tragedia incombente egli fu «un Maestro, un Esempio, che ha sparso attorno a sé luce ed ha ispirato e insegnato quel vero eroismo [...] che porta l’eroe a sacrificare se stesso in silenzio per salvare altri uomini», così si è espresso Gaio Sciloni nella sua commossa rievocazione di Nathan Cassuto (in Scritti in memoria di Nathan Cassuto, 1986, p. 5). Anche a Firenze pose molta cura nell’insegnamento, nella trasmissione dei valori tradizionali ebraici, rafforzando l’identità e infondendo fiducia in un momento di forti tentazioni assimilazionistiche. Si doveva inoltre far fronte ad una particolare emergenza in ambito comunitario. A Firenze affluivano, sempre più numerosi, i profughi ebrei dall’Italia settentrionale e dall’Europa centro-orientale: sfuggiti a situazioni drammatiche cercavano di andare a Sud e di passare le linee alleate. Si può ricordare come già da tempo, prima che fossero promulgate le leggi razziali, giovani ebrei erano giunti a studiare nelle università toscane da vari paesi europei oppressi ormai da norme restrittive antisemitiche. Fino al 1943 fu attiva una delegazione di assistenza per gli emigranti ebrei (DELASEM), che aveva la sua sede a Genova e provvedeva specificamente alle necessità dei profughi. La situazione divenne particolarmente critica dopo l’8 settembre.
A Firenze giunse anche un folto gruppo di ebrei dall’area della Francia meridionale occupata dagli italiani, che avevano concesso loro una relativa tranquillità (molti ebrei si erano rifugiati in quella regione cercando scampo dalle zone della Francia occupate dai nazisti; c’erano inoltre molti profughi provenienti da altri paesi europei). Quando le unità italiane di stanza in Francia ricevettero l’ordine di rientrare, gli ebrei li seguirono in Italia per non cadere nelle mani dei tedeschi.
Nathan Cassuto, coadiuvato in modo particolare da Matilde Cassin e dal cognato Saul Campagnano, marito di Hulda, si prodigò in un’attività incessante di soccorso agli ebrei fiorentini e ai profughi: era necessario trovare un rifugio, elargire viveri e denaro, procurare tessere annonarie e documenti d’identità falsi; insieme portava consiglio e conforto. I rischi e i disagi sempre crescenti indussero a richiedere l’interessamento diretto della Chiesa fiorentina. Intervennero Giorgio La Pira e l’Arcivescovo di Firenze Cardinal Elia Dalla Costa che costituirono un comitato di soccorso ebraico cristiano: ne facevano parte Nathan Cassuto, monsignor Giacomo Meneghello, segretario dell’Arcivescovo, coadiuvato da due membri cristiani che furono attivissimi nell’opera di assistenza agli ebrei di Firenze, don Leto Casini, parroco di Varlungo e Padre Cipriano Ricotti. domenicano del convento di San Marco; fra i componenti e gli stretti collaboratori ebrei del comitato si segnalano in modo particolare i nomi di Matilde Cassin, delle giovanissime sorelle Lascar, di Raffaele Cantoni, di Hans Kahlberg, in rappresentanza dei profughi, degli avvocati Eugenio Artom e Giuseppe Castiglioni, di Guido De Angelis, del professor Aldo Neppi Modona, di Giuliano Treves. Le riunioni clandestine avvenivano per lo più in Arcivescovado. Frattanto conventi e parrocchie diedero la loro disponibilità ad accogliere i perseguitati. Si era formata una rete allargata di soccorso clandestino che aveva come suo centro il convento di San Marco: fra i suoi più importanti esponenti ricordiamo l’avvocato Gian Carlo Zoli, attivo nella Resistenza; un’altra eroica militante della Resistenza che si prodigò per i perseguitati razziali fu Anna Maria Enriques Agnoletti. Si erano stabiliti anche intensi collegamenti con membri delle Chiese Evangeliche. L’Istituto per la Memoria dei Martiri e degli Eroi dell’Olocausto Yad Vashem di Israele ha in seguito conferito al Cardinal Elia Dalla Costa, a don Casini e a padre Ricotti la medaglia di Giusto tra le Nazioni.
Nathan Cassuto mise al riparo la sua famiglia e quella della sorella nel convento della Calza. In un clima di grande tensione, per la festa di Rosh ha-shanà, il Capodanno ebraico (30 settembre-1 ottobre 1943) egli tenne il suo ultimo accorato sermone nel Tempio di via Farini: «[…] Israele soffre nel mondo, Israele attraversa uno dei più terribili periodi della sua storia più volte millenaria; dovremmo perciò in maniera particolare avere la sensazione del vincolo fraterno, dovremmo cominciare nell’ambito del nostro nucleo ristretto ad attuare quei propositi di fratellanza che costituiscono la premessa inevitabile della nostra preghiera odierna [...] Voglia il Signore che i popoli possano trovare anch’essi la via della bontà reciproca, annunziataci dai nostri profeti, che possano incamminarvisi tutti uniti dal sentimento e dalla coscienza di essere figli dello stesso padre, tutti creature dello stesso re. Voglia il Signore che questo sentimento e questa coscienza si radichino nel cuore di tutti gli uomini, sicché sul mondo possa aleggiare per sempre lo spirito operoso e fecondo della bontà e della pace.
Amen!» (David Cassuto, in Il Centenario Del Tempio Israelitico di Firenze, 1985, p. 16; Gaio Sciloni, in Scritti in memoria di Nathan Cassuto, 1986, pp. 40-41). Il giovane rabbino cercò anche per sé un alloggio clandestino, ma continuò a dedicarsi senza posa a sopperire alle esigenze della sua comunità; a chi gli ricordava i gravi rischi cui si esponeva e l’opportunità di lasciare Firenze, rispondeva fermo e consapevole che doveva rimanere al suo posto. Adempì così fino al sacrificio le funzioni di guida e maestro inerenti la sua carica rabbinica.
Era intanto arrivato a Firenze un facoltoso profugo dalla Francia, Joseph Ziegler che aveva subito messo generosamente a disposizione della Comunità le sue sostanze, divenendo membro attivo del comitato di soccorso. Siccome aveva difficoltà con la lingua si trovò per lui un interprete, che si rivelò essere un’infame spia infiltrata dai nazisti.
Il 6 novembre 1943 avvenne una retata di ebrei a Firenze: le SS fecero irruzione in un ampio locale gremito di profughi e catturarono quasi 300 persone che vennero deportate ad Auschwitz. Il pomeriggio del 26 novembre Nathan Cassuto si recò ancora una volta ad una riunione del comitato, che, per non destare eccessivi sospetti, era stata indetta presso la sede dell’Azione Cattolica in via dei Pucci, ma irruppero le SS, informate dal delatore, e catturarono Cassuto, Ziegler, Kahlberg, le sorelle Lascar e don Casini (si salvò per poco Matilde Cassin, giunta più tardi alla riunione). Pochi giorni dopo Anna Di Gioacchino, moglie di Nathan, il cognato Saul Campagnano e Raffaele Cantoni caddero in uno spietato tranello nel tentativo di salvare il loro congiunto ed amico e furono anch’essi arrestati. Saul Campagnano, deportato, non fece più ritorno; Anna resistette in carcere agli interrogatori, ma quando le dissero che il rabbino sarebbe stato inviato alle prigioni di Milano, rivelò la sua identità: volle così condividere la sorte del marito. Furono trasferiti entrambi a San Vittore a Milano e di lì deportati ad Auschwitz.
Hulda rimase sola a provvedere a sei bambini, due suoi e quattro del fratello. Lasciato ormai il convento, diventato insicuro (i nazisti ripetutamente violarono anche gli Istituti religiosi), trovò delle famiglie pronte ad accogliere i piccoli, ma la figlia minore di Nathan e Anna, Eva, una bimba di pochi mesi, non resse ai disagi e morì.
Da segnalazioni frammentarie si può desumere che nel complesso concentrazionario di Auschwitz Nathan Cassuto abbia lavorato dapprima come operaio in una fabbrica, sia stato poi trasferito alle miniere di carbone e infine adibito alla funzione di medico nel campo di Jaworzno (Gaio Sciloni, op. cit., pp. 51-68; Massimo Longo Adorno, Gli ebrei fiorentini dall’emancipazione alla Shoà, 2003, pp. 131-135). Coloro che lo incontrarono in quei momenti tremendi hanno testimoniato della sua condotta esemplare, del suo animo soccorrevole, della sua capacità di infondere serenità e fiducia in chi gli stava accanto. Nell’inferno del lager fu per molti un punto di riferimento, una figura indimenticabile. Il 12 gennaio 1945, all’approssimarsi dell’esercito sovietico, incominciò l’evacuazione del campo di sterminio, il terribile atto finale ricordato come “marcia della morte”. Nathan era tra quei prigionieri stremati; pare sia giunto il 21 gennaio al campo di Blechhammer in Alta Slesia. Morì probabilmente poco dopo quella data, assassinato; l’esercito di liberazione era ormai molto vicino.
Anna sopravvisse e poté rientrare in Italia segnata dalle gravi sofferenze che le erano state inflitte. Ripresasi un poco partì per Israele dove riabbracciò i suoi figli – che già vi erano stati condotti – e i familiari superstiti. Nell’aprile del 1948 perì tragicamente a Gerusalemme nell’attacco terroristico al convoglio di medici e infermieri diretti all’ospedale Hadassa, dove prestava la sua opera. Nello stesso attentato perse la vita un altro fiorentino, Enzo Bonaventura, docente di psicologia.
Nel maggio 1988 il governo italiano conferì alla memoria di Nathan Cassuto la medaglia d’argento al merito civile. Nella solenne cerimonia, avvenuta a Firenze in Palazzo Medici Riccardi, il 3 dicembre 1989, il figlio di Nathan, l’Architetto e Professore David Cassuto, che vive in Israele ed è stato vice sindaco di Gerusalemme, pronunciò nobilissime parole: ricordò come a Firenze si erano trovate famiglie «che non ebbero paura e non tremarono per la propria salvezza; ci diedero rifugio, ci aprirono le porte e più che altro il cuore […] All’esempio che diedero mio Padre, mia Madre e molti altri Rabbini in Italia, di un coraggio senza compromessi, si aggiunge l’eroismo di tantissimi italiani che senza considerazioni utilitarie, si dedicarono alla lotta per la liberazione, consci dell’ingiustizia, della malvagità e della stoltezza, insiti nel regime dittatoriale fascista. Furono proprio questi Italiani che salvarono l’onore e l’immagine di questo paese e di questo popolo, anche per le generazioni future» (ANFIM, XLVI della deportazione degli ebrei toscani e ricordo della partecipazione ebraica alla Resistenza, pp. 28-29).
La vicenda di Nathan Cassuto non solo è inserita esemplarmente nella storia della tradizione ebraica, ed esprime la sofferenza delle minoranze conculcate e oppresse, ma rappresenta un insegnamento perenne di civiltà contrapposta alla barbarie.
Questo testo è tratto con varianti dalla seguente pubblicazione: Ida Zatelli, Umberto e Nathan
Cassuto, in Associazione Amici dei Musei Fiorentini, Fiorentini del Novecento, vol. 3, a cura di Pier
Luigi Ballini, Firenze, Edizioni Polistampa 2004, pp. 72-93