Pietre d'inciampo - Via delle Panche 142

Qui abitavano Goffredo, Giuseppe, Leone, Liliana e Jenny Passigli


Non posso avere alcun ricordo delle persone di famiglia deportate ad Auschwitz nel novembre del 1943 perché avevo appena compiuto 2 anni. Viceversa, il ricordo del nonno Goffredo – ben più che di tutti gli altri portati via con lui o comunque nello stesso periodo, e di cui nessuna ha fatto ritorno – ha dominato la mia infanzia. Era evocato come un uomo dalla personalità eccezionale, affascinante e dominante, una sorta di mito familiare. Ho capito solo molto dopo che vi erano in lui anche aspetti autoritari di cui credo che mia nonna e le sue figlie debbano aver sofferto. Così come tardi mi sono resa conto che il minore dei miei zii aveva solo 20 anni, e la loro cugina Liliana 19.    
Mia madre e le sue sorelle hanno vissuto la scomparsa dei fratelli e del nonno come un vuoto incolmabile; per mia madre in particolare quella dello zio Leone, che aveva solo un anno di meno; per la più giovane, Azelma, per la stessa ragione, quella dello zio Giuseppe. La morte del nonno ha rappresentato un vuoto in primo luogo affettivo, naturalmente, ma anche un evento che aveva mutato le condizioni socioeconomiche della famiglia perché mio nonno era stato un grande industriale, poi la sua fabbrica era stata sequestrata e niente più restituito. Io conosco solo, più o meno, il luogo in cui era collocata. Anche la casa in cui l’intera famiglia aveva vissuto, compresi i miei genitori ed io nella primissima infanzia, è stata sequestrata dai nazi-fascisti, poi occupata da sfollati, ora è la sede di una casa di riposo.
Credo che questi eventi, di cui sono venuta a conoscenza in tempi diversi e in forma diventata solo via via più completa, abbiano segnato non solo la mia infanzia, ma anche il resto della mia vita.    

(Anna Belgrado)
 

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