Pietre d'inciampo - Via Palazzuolo 25

Qui abitavano Affortunata e Irma Servi

In una delle brutali razzie antiebraiche dell’autunno 1943, attuate a Firenze da tedeschi e militi fascisti della RSI (Repubblica Sociale Italiana), furono catturate insieme ad altre vittime anche due anziane sorelle ebree. La maggiore era Affortunata Servi, detta anche Faustina, figlia di Ulisse ed Ercolina Sadun. Era nata il 25 gennaio 1881 a Pitigliano (Grosseto), dove ancora esisteva una cospicua comunità ebraica. Di mestiere faceva la sarta ed era nubile. Dal “censimento della razza” del 1938, effettuato poco prima della promulgazione delle leggi antiebraiche, risultò che Affortunata, trasferita a Firenze nel 1910, abitava in via Palazzuolo al numero 25 e che conviveva con sua sorella minore, Irma Servi, nata pure lei a Pitigliano, il 19 settembre 1883. Dalla scheda personale dello stesso censimento, apprendiamo che Irma era, quanto alla professione, «atta a casa», vale a dire casalinga; e che in precedenza era stata sposata con Salvatore Forzoni, da cui poi peraltro si era (non sappiamo quando) «separata legalmente». Queste sono le poche notizie certe che si sono raccolte finora. Si indovinano delle vite non facili, da povera gente, a contraddire lo stereotipo antisemita che tutti gli ebrei siano sempre molto ricchi. Invece, anche se affrontare le persecuzioni non fu facile per nessuno, per gli ebrei poveri fu davvero terribile, e davvero scarsi i ripari che poterono opporre alla deportazione a cui erano destinati da regimi criminali.
Entrambe le sorelle Servi furono vittime di una drammatica retata che si svolse nella notte fra il 26 e il 27 novembre 1943 in città, quando insieme nazisti e militi fascisti del “Reparto Servizi Speciali della milizia” capeggiato da Mario Carità assaltarono i conventi alla ricerca di ebrei. Proprio in questi luoghi sacri molti israeliti -donne, uomini e bambini- avevano trovato rifugio, grazie all’opera clandestina e “fuorilegge” di un Comitato ebraico-cristiano che cercava di sottrarre vittime alla deportazione, smistando e sistemando ebrei italiani e stranieri nei locali della Curia in città e nei dintorni. La violenta incursione che portò alla cattura delle sorelle Servi cominciò quando un cospicuo drappello di militi nazifascisti fece irruzione nel convento di clausura delle Suore Francescane Missionarie di Maria in piazza del Carmine, dove erano alloggiate almeno cinquanta persone: si trattava di donne ebree di nazionalità italiana e straniera, alcune con bambini piccoli, giunte al convento intorno al mese di ottobre 1943, per la maggior parte lì indirizzate dal Comitato di soccorso che operava in città.
Quella notte nel terrore generale e armi alla mano, fu intimato alle coraggiose suore di chiudersi nelle loro celle, mentre le ospiti e i loro bambini venivano radunati nella sala detta “del teatrino”. Proprio in quel locale, che ancora esiste, i nazifascisti procedettero all’identificazione delle persone di “razza ebraica” per arrestarle e inviarle al campo di sterminio. Le donne “ariane” e qualcuna che aveva potuto in qualche modo dissimulare la propria identità ebraica si salvarono. Tutte le altre ebree coi loro figli (poco meno di una trentina di persone) furono tenute prigioniere nella stessa sala del teatrino per quattro giorni. Fu uno degli episodi più feroci delle persecuzioni antiebraiche locali sia per la presenza di tanti bambini e donne inermi, sia per l’anomala durata della loro detenzione all’interno del convento e per la violenza che i militi fascisti, incaricati di far loro la guardia, ebbero modo di esercitare nel contatto prolungato con le vittime. Infine, la sera di martedì 30 novembre partirono: dapprima con un grosso camion verso Verona, e poi il 6 dicembre 1943 per Auschwitz dove giunsero cinque giorni dopo.
Nessuno si salvò.

La ricerca storica ci ha restituito i nomi delle vittime di piazza del Carmine, depositati in alcuni elenchi tedeschi coevi all’arresto, dove compaiono i dati anagrafici delle vittime. A riscontro di questi dati, disponiamo anche di un’altra preziosa fonte: una lista manoscritta (presumibilmente di pugno della superiora del Carmine) coi nomi delle deportate e dei loro bambini, conservata nell’Archivio arcivescovile di Firenze, redatta subito dopo gli arresti e così denominata: Ebrei presi a piazza del Carmine e portati a Verona il 30 novembre 1943, fatti proseguire, dopo 5 giorni di fermata al forte “per un lungo viaggio”. In realtà anche se nel titolo figura il genere maschile «ebrei», non c’erano maschi adulti al Carmine. Era un convento di clausura e la dispensa speciale del cardinale Elia Dalla Costa affinché le suore potessero offrire rifugio, aveva stabilito che lì si accogliessero solo donne con bambini piccoli, mentre i figli più grandicelli dovevano essere collocati in conventi maschili. Al Carmine, dunque, c’erano solo infanti e mamme. E queste furono le vittime. Secondo i piani nazisti della “soluzione finale”, a essere annientata infatti doveva essere l’intera “razza” ebraica, quindi sistematicamente anche donne e bambini.
Nel documento della Curia, nella lista degli assistiti, troviamo le due sorelle Servi. Accanto ai loro nomi, una minuta nota identificativa: «vecchiette, parrocchia di Ognissanti». È tutto ciò che ci resta della loro vicenda finale. Si può ipotizzare che le anziane sorelle fossero state avvertite del pericolo di essere arrestate. Sappiamo con certezza che lo stesso rabbino Nathan Cassuto con ogni mezzo si prodigò per avvisare i correligionari di mettersi in salvo. Possiamo dunque supporre che Irma e Affortunata si fossero rivolte alla parrocchia di Ognissanti, assai vicina a casa loro, per ricevere aiuto, e che proprio da lì fossero state indirizzate al Carmine, ritenuto un porto sicuro, dove già molte ebree erano state inviate dal Comitato ebraico-cristiano. Dalla loro povera casa di via Palazzuolo le sorelle Servi fecero davvero poca strada: attraversarono l’Arno e fu loro fatale. Poi fu Auschwitz. Vi giunsero l’11 dicembre 1943 per essere presumibilmente assassinate subito all’arrivo.
Anche una terza sorella di Irma e Affortunata, Fernanda Servi, nata a Pitigliano il 4 novembre 1875, sposata con Alfredo Spizzichino, un modesto venditore ambulante, non riuscì a sfuggire alla Shoah. Quando ormai le sue sorelle Irma e Affortunata erano già state uccise da diverse settimane, anche Fernanda fu arrestata nel gennaio 1944 al Ferrone, una frazione di Greve in Chianti. Era sfollata là con tutta la sua famiglia e tutti insieme finirono ad Auschwitz: le figlie Rina e Iride Spizzichino, il genero Fernando Calò, i nipotini Mario di sei anni, Sara di due e Fiorella di cinque mesi.

Marta Baiardi

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