Pietre d'inciampo - Piazza dell'Indipendenza 5

Qui abitava Bruno Cagli

La mia famiglia e io ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile ricordare con questo segno di memoria diffusa che sono le pietre d’inciampo, lo zio di mio padre Gianni, fratello di mia nonna Egle, Bruno Cagli.

Bruno Cagli era figlio di Oreste Cagli ed Elisa Melli, trasferitisi a Firenze da Ancona. 
Bruno era natoil 12 dicembre 1904 ad Ancona come i suoi sei fratelli e sorelle. Il padre Oreste, anno 1857, lavorava in banca e la madre Elisa era nata a Ferrara nel 1864. Prima di sposarsi era stata maestra, suonava molto bene il pianoforte, ed era voluta venire a Firenze per essere vicina ai suoi fratelli Melli che a Firenze erano antiquari, avevano tre negozi in Via Tornabuoni. All’epoca i Cagli abitavano in Via Dupré.
Elisa aveva sette figli, tre femmine (Ida, Gina e Egle) e quattro maschi (Mario, Guido, Carlo e Bruno).
Bruno era il minore dei maschi. E mia nonna Egle la minore delle femmine. Ida era rimasta vedova giovanissima, nel 1923, a 29 anni, con due bambine piccole, Emma e Lella, ed era tornata da Forte dei Marmi dove si era trasferita col marito, a vivere in casa dei genitori a Firenze. Ma dopo la morte di Oreste per problemi al cuore, nel 1924, a soli 47 anni, i Cagli lasciarono Via Dupré per Via dell’Oriuolo. In Via dell’Oriuolo vivevano ancora tutti insieme: nonna Elisa, i sei figli (eccetto Gina che era già sposata) e le due nipotine. La famiglia in questo periodo non era particolarmente agiata, ma conduceva una vita molto decorosa e allegra, la grande casa era sempre piena di gente, si suonava il pianoforte, si cantava e si rideva. Tutti, eccetto nonna Elisa, una volta adulti lavoravano: chi come rappresentante di tessuti, chi nelle attività commerciali della famiglia e poi i maggiori si sposarono e in casa rimase Elisa coi figli Carlo, Ida, Bruno e Egle e le due nipoti. Così, nel 1935, dopo essere rimasti solo in sette, si trasferirono in Piazza Indipendenza perché “l’aria era migliore”, essendo fuori dal centro storico. Fu poco dopo, nel 1935, che Bruno partì per Milano per lavoro. Ma, in quanto ebreo, lo perse in seguito alle leggi dette razziali ma in verità razziste, quindi presumibilmente nel 1938. C’è poi un vuoto sul periodo che va dal ‘38 al ‘43, quando tornò da Milano. Si stabilì allora in Piazza Indipendenza con sua madre Elisa, sua sorella Ida e la Lella. L’Emma si era sposata ed Egle stava già a Settignano, rifugiata. Tutti avevano cercato rifugio da qualche parte: Guido e famiglia a Roma grazie a dei documenti falsi, Carlo e Emma con le rispettive famiglie all’Impruneta, Ida e sua figlia Lella andarono a vivere nello studio di architettura del cognato Giuseppe Forti, tanto più che lui stesso doveva stare nascosto. Quindi a questo punto in Piazza Indipendenza erano rimasti solo Bruno e sua madre, lui non voleva lasciarla sola e lei, quasi ottantenne, non voleva lasciare la sua casa.

Un giorno - era il 22 marzo 1944 - Bruno uscì…Ma sentiamo le parole della Lella che ci ha lasciato un breve scritto di memorie: «Un triste giorno lo zio Bruno decise che era stanco di stare sempre rinchiuso in casa giorno e notte, prese il suo album di francobolli, dicendo che sarebbe andato ad aggiornare la sua collezione in Via della Colonna, non ascoltò la nonna Elisa che si lamentava al pensiero che potesse essere riconosciuto da qualcuno e fu così che accadde. Sapevano che bastava denunciare che una persona era ebrea per ricevere un premio di cinquemila lire. Così fu preso, condotto dapprima alle Murate a Firenze, dove la mamma andava coraggiosamente a portargli il cibo e gli indumenti. Poi lo vide partire; alla stazione erano in quaranta. Li trasferirono a Carpi da dove ci giunse una lettera». Alle Murate rimase alcune settimane e durante l’ora d’aria che trascorrevano in quello che oggi è il parcheggio di fronte all’archivio di Stato, deve aver incontrato Nedo Fiano che era stato arrestato il 6 febbraio. Da bambino Nedo, dopo l’espulsione degli ebrei da tutte le scuole, entrò nella scuola organizzata autonomamente all’interno del tempio dalla Comunità ebraica e dagli insegnanti ebrei che pure avevano perso il lavoro, ed era diventato molto amico di Mario Melli, un cugino più giovane di Bruno. Quella sera stessa, la sera della spiata, Ida e Lella decisero di tornare a casa in Piazza Indipendenza per essere vicine a Nonna Elisa, rimasta ormai sola. Come molti così anche Bruno aveva sottovalutato il pericolo, nonostante un episodio capitato in famiglia un paio di anni prima. Diamo la parola a Franco Melli: «Per la persecuzione razziale i più pericolosi per gli ebrei erano i fascisti: a Firenze imperava la Banda Carità, con le loro nere e tristi Isotta Fraschini scoperte (l’auto prediletta dai fascisti). Ho un ricordo indelebile su tutti: nell’aprile del ‘41 frequentavo la terza elementare: una mattina verso mezzogiorno entra in classe il bidello e mi dice di prendere tutti i miei quaderni e i libri ed andare dal preside. Io molto spaventato entro in quell’ufficio situato al pian terreno, guardo fuori dalla finestra e vedo un taxi fermo. Il Preside mi fissa e mi dice di saltare dalla finestra, entrare nel taxi, andare a casa e sparire. “Tu qui non ci sei mai stato”, fu la sua ultima frase. Io non riuscii a dire una parola, saltai, non so come, dalla finestra ed entrai nel taxi in preda al terrore. Cosa era successo? Aveva avuto una soffiata che la Banda Carità stava per venire a prendermi, per trovare mio padre che viveva in semiclandestinità. Ricorderò sempre la sagoma della Isotta Fraschini che dal lunotto posteriore del taxi, girando l’angolo, vidi spuntare dal fondo della strada. Avevo otto anni e per tanti anni ancora l’incubo di quella macchina mi ha perseguitato nei miei sogni».
Fino a dopo la caduta di Mussolini a luglio, dopo l’armistizio dell’8 settembre e l’inizio dell’occupazione tedesca, iniziata l’11 settembre, Firenze veniva ancora considerata un posto relativamente sicuro per sfuggire ai pericoli della guerra e molti ebrei italiani e stranieri vi avevano trovato rifugio. Il ritorno di Bruno da Milano a Firenze può essere quindi visto in questo contesto. Infatti, fu solo dopo l’8 settembre che Eugenio Artom del Consiglio della Comunità ebraica di Firenze e il rabbino Nathan Cassuto avvisarono del pericolo tutti gli ebrei di Firenze che riuscirono a contattare, invitandoli alla fuga.
Cassuto incaricò personalmente il futuro rabbino Belgrado di correre di casa in casa in bicicletta per avvertire gli ebrei dei nuovi pericoli. Ormai il clima era cambiato e perfino dopo che il 6 novembre i militari nazisti, accompagnati da fascisti italiani, ebbero compiuto una razzia nella Sinagoga arrestando centinaia di persone, prevalentemente ebrei stranieri accolti nel tempio come rifugiati, pochi capirono il pericolo. E come potevano immaginare l’inimmaginabile?

Mentre nell’autunno del ‘43 la persecuzione e le razzie furono principalmente opera di comandi tedeschi, in seguito furono predominanti le istituzioni della RSI. Ad esempio, va notato che il questore Carlo Manna specificava come le nuove disposizioni persecutorie venivano prescritte “d’intesa col competente Comando della Polizia tedesca”, dimostrando inequivocabilmente un’organica collaborazione fra i comandi nazisti e le istituzioni della RSI. Furono trecento undici i deportati da Firenze - tra uomini, donne e bambini – e solo quindici persone, otto donne e sette uomini, tornarono indietro. Uno di questi sette fu Nedo Fiano…Nel frattempo, dopo che i tedeschi ebbero fatto saltare i ponti, la zia Gina con tutta la sua famiglia (compreso il figlio maggiore, Alberto Cecchi, con la moglie) si trasferì da Via Magliabechi dove abitava, in Piazza Indipendenza da sua madre Elisa. Vissero tutti accampati fino alla fuga dei tedeschi. Bruno era intanto stato condotto a Fossoli, il campo aperto nel 1942 che, a partire dal 15 Marzo 1944, viene diviso in due parti: una gestita dalla Repubblica Sociale Italiana ed una gestita direttamente dalle SS naziste. Nel campo già si trovava Nedo Fiano. Qui Bruno rimase fino al 16 maggio. Quando gli ebrei internati furono 850, il convoglio, lo stesso di Fiano, il convoglio nr.10, lo condusse ad Auschwitz dove arrivò il 23 maggio 1944. Bruno aveva 39 anni ed era quindi in grado di lavorare, per questo non fu gasato e cremato immediatamente come accadde alla gran parte di donne, bambini e anziani. Ma passiamo di nuovo la parola alla Lella: «…L’unica persona che riuscì a sfuggire fu il più giovane, Nedo Fiano, di venti anni più giovane di Bruno, che ci portò la triste notizia. A noi raccontò che lo zio Bruno, dopo tante ferite a mani e piedi, magro, sfinito, gli aveva detto che avrebbe “marcato visita” sapendo che lo aspettava la morte. In seguito, Nedo Fiano sposò una nostra cugina, Rirì Lattes». Fu quindi grazie al compagno di sventura Nedo che la famiglia venne a sapere tempestivamente del tragico destino e della morte di Bruno, ma evidentemente Nedo non avevo voluto infierire su Elisa già ottantenne con descrizioni più dettagliate della vita nei campi di sterminio, e delle sue conseguenze su animo e corpo degli internati o forse, come tutti i sopravvissuti, nei primi tempi non era in grado di parlarne.
La permanenza di Bruno ad Auschwitz durò pertanto dal 23 maggio al 30 novembre 1944, data della sua morte. Sei mesi di puro inferno. Solo due mesi dopo, il 27 gennaio 1945, Auschwitz fu liberata dall’Armata Rossa. Troppo tardi per Bruno che morì circa all’età mia dei miei cugini adesso.

Il 17 gennaio 1948 la Commissione Regionale Toscana della Presidenza del Consiglio dei ministri conferisce a Bruno Cagli il riconoscimento della qualifica di Partigiano. Il riconoscimento secondo l’articolo 7 del decreto del 21 agosto 1945 veniva concesso anche a quanti, nell’ambito dell’attività partigiana, avevano riportato ferite oppure erano rimasti in carcere o in campo di concentramento per oltre tre mesi a seguito della cattura da parte dei nazifascisti.
Un coinvolgimento di Bruno nella Resistenza spiegherebbe il vuoto degli anni ’38 -’43. Primo Levi, al suo arresto preferì dichiararsi ebreo, e non partigiano, per non mettere in pericolo i compagni della Resistenza.
Bruno Cagli è stato ucciso due volte, una come ebreo e una come partigiano.

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