Il 24 dicembre ore 17:00 al Teatro Verdi, il Concerto di Natale con Nicolò J. Suppa ed Ettore Pagano, a conclusione della festa di musica itinerante
Il Concerto di Natale, per l’Orchestra della Toscana, è più di un rito affettuoso: è l’ultimo incontro dell’anno con il pubblico, anzi con i pubblici che l’ORT ha costruito negli anni, in un dialogo che unisce città grandi e centri più piccoli, tutti parte della stessa geografia culturale. Una «festa di musica ambulante», un viaggio che attraversa la regione e ne restituisce lo spirito: il piacere di condividere la musica mantenendo intatta la qualità, l’ascolto e la curiosità.
Quest’anno il percorso tocca Poggibonsi, Arezzo, Peccioli, Figline, Pisa e si conclude come da tradizione il 24 dicembrenella casa dell’Orchestra, il Teatro Verdi di Firenze. A guidarlo sono due interpreti ormai legati all’ORT da diverse esperienze comuni: Nicolò Jacopo Suppa, direttore di solida formazione e immaginazione vivace, ed Ettore Pagano, violoncellista ventiduenne già affermato sulla scena internazionale, protagonista di riconoscimenti importanti come il Premio Abbiati 2025 e di una memorabile tournée con l’ORT in Finlandia per l’inaugurazione del Festival di Turku.
Suppa possiede un gesto lucido e mobile, che cerca la trasparenza senza rinunciare alla vitalità espressiva. Le sue interpretazioni dispiegano le strutture, rendendole leggibili, ma sempre animate da un impulso narrativo. Pagano, dal canto suo, affronta ogni pagina con una naturalezza quasi disarmante: il suono pieno, la duttilità tecnica, la capacità di passare dal mormorio intimo a un canto proiettato con fermezza lo rendono un protagonista autentico, non un talento in formazione ma un solista compiuto.
Il programma si apre con la vivacità teatrale dell’ouverture dal Signor Bruschino, una delle farse rossiniane nate per il Teatro San Moisè. È musica che gioca con le attese: i colpi d’arco sul leggìo — quell’effetto rumoristico che Rossini immaginò come una sorta di “tormentone comico” — restituiscono l’atmosfera effervescente di un Settecento veneziano popolato da equivoci e colpi di scena. Suppa ne valorizza la brillante architettura classica, lasciando emergere con leggerezza l’ironia del giovane Rossini.
Con l’Andante cantabile di Čajkovskij il clima cambia radicalmente. Nato come secondo movimento del Quartetto op. 11 e poi trascritto dall’autore per violoncello e archi, questo brano conserva l’intimità di una confessione privata. La melodia popolare raccolta da Čajkovskij in Ucraina, una linea semplice e struggente, trova in Pagano un interprete capace di far convivere purezza e profondità, senza indulgere né semplificare. È un momento sospeso, luminoso nella sua malinconia.
La Suite italienne di Stravinskij, nella trascrizione di Benjamin Wallfisch, introduce un gioco di specchi ancora diverso: un Settecento reinventato, visto “allo specchio” con le orecchie del Novecento. Le sei sezioni tratte da Pulcinella scorrono come piccole scene da commedia musicale, tra serenate malinconiche, arie gesticolanti e tarantelle che sembrano non toccare mai terra. Pagano affronta questa scrittura con un’agilità quasi teatrale, mentre Suppa modella l’orchestra in un bianco e nero netto, affilato, tipico di Stravinskij.
Il viaggio si chiude con un capolavoro assoluto, la Sinfonia n. 41 “Jupiter” di Mozart, una pagina dove la chiarezza del classicismo incontra il suo limite più alto. L’ultimo movimento — una fuga che unisce in un’unica trama cinque soggetti — sintetizza la capacità mozartiana di trasformare la logica in energia, la complessità in entusiasmo. Suppa la affronta con rigore e slancio, mettendo in luce la tensione interna del discorso, il suo affacciarsi continuo verso la luce.
Un programma poliedrico — Rossini, Čajkovskij, Stravinskij, Mozart — ma attraversato da un’unica forza: quella fiducia che la musica sa conservare anche nei passaggi più fragili dell’anno. Un modo, forse il migliore, per chiudere il 2025 con una scintilla di speranza.