Pietre d'inciampo - Piazza D'Azeglio 12

Qui abitavano Giuseppe Siebzehner e Amalia Koretz

Giuseppe Siebzehner era nato a Vienna terzo di cinque figli da padre polacco, Shaia Bradl, e mamma italiana, Marianna Vivanti di Mantova. Amalia Koretz, detta in famiglia Malka, era nata in Cecoslovacchia, quinta di undici figli, da una famiglia che vantava fra i suoi antenati il rabbino Pinkhas di Koretz, uno dei fondatori del Chassidismo.

Giuseppe e Amalia si conobbero nella località termale di Karlsbad, si sposarono e vennero ad abitare a Firenze, dove Giuseppe aveva avviato un commercio di foglie d’alloro, e nel 1902 con l’aiuto di tre soci rilevò in via del Corso l’Emporio Bonaiuti, che poi divenne il Duilio 48.

Qui a Firenze nacquero i due figli Giorgio, mio nonno materno, e Federico, e in questa casa hanno abitato diversi anni, ospitando anche la nonna Marianna (conservo diverse foto di quegli anni sereni nel diario di mio nonno dal quale sono tratte le notizie che riferisco).

Giuseppe è sempre stato un uomo molto laborioso, fin da quando all’età di tredici anni, rimasto orfano del padre, fu mandato a lavorare nell’emporio di un conoscente a Trieste.

Fra i suoi detti che si tramandano in famiglia c’è questo: “chi non onora il soldo non merita la lira”, e lui conosceva evidentemente cosa vuol dire guadagnarsi da vivere. Con la ditta di famiglia ha dato da vivere a molte famiglie fiorentine, non si è mai dimenticato di accudire la madre, la sorella Eva, il cui marito Horvath, con il suo aiuto, aprì un ingrosso di giocattoli in via del Giglio, e il fratello Ernesto, gravemente handicappato, per il quale fece costruire una palazzina sul lungomare di Viareggio, dove oltre all’abitazione al primo piano, al piano terreno aprì una succursale del 48.

Giuseppe non ebbe mai un’automobile, amava viaggiare in treno e visitare le località turistiche con la famiglia, si portavano dietro i cestini da viaggio preparati in casa, perché come lui diceva, “siamo dei cerotti”, soffrivano tutti di stomaco.

Il Duilio 48 fu requisito durante la prima Guerra, e di nuovo a causa delle leggi del '38, secondo la normativa fascista che vietava a un ebreo di possedere una ditta che impiegasse cento o più persone, affidando la gestione a un fascista di provata fede. Mia nonna raccontava che a un dato momento, quando la situazione stava precipitando, il gestore disse a Giuseppe di lasciare tutto a lui “tanto per lei signor Siebzehner non c’è più speranza”. Giuseppe non si fece intimorire: “se non ci sarò io, ci saranno i miei figli”.

Giuseppe e Amalia avevano carte di identità false, ma non fecero in tempo a usarle, furono denunciati e arrestati, oramai ottantenni e ammalati, in una casa di cura dove erano ricoverati. Dal treno che li portava a Auschwitz Giuseppe lanciò una cartolina su cui era scritto “In viaggio verso destinazione sconosciuta”.

Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile con la posa di queste pietre di restituire dignità umana a due persone troppo a lungo dimenticate.

Le carte di identità

Durante il periodo fascista molti dei perseguitati, costretti a vivere in clandestinità, riuscivano a comprare al mercato nero Carte di Identità false, realizzate o su moduli autentici rubati presso gli uffici comunali, o appositamente stampati. Sul modulo veniva apposta la foto del clandestino e il timbro falsificato di Comuni solitamente del Sud d'Italia, in quanto quelle zone erano già state liberate dagli eserciti alleati e pertanto i documenti non potevano essere controllati. Su questi documenti venivano poi trascritti i falsi dati anagrafici del clandestino.
A Firenze, molte delle Carte di Identità false furono procurate da Gino Bartali che, nascondendole nella canna della bicicletta, le portava ad Assisi presso una stamperia clandestina e, una volta compilate, le recapitava a Firenze.

A seguito di ricerche condotte dalla pronipote dei coniugi Siebzehner proprio in occasione della posa delle Pietre d'Inciampo, è emerso che la moglie di Bartali, Adriana Bani, fosse impiegata presso l'Emporio “Duilio 48”, di proprietà del bisnonno Giuseppe. Con molta probabilità fu proprio lei a fornire i documenti falsi ma, ad oggi, resta solo una supposizione che non può essere confermata in quanto ormai scomparsa.
Purtroppo i documenti procurati si dimostrarono inutili per i coniugi Siebzehner che non li compilarono neppure: anziani e malati, erano ricoverati in una clinica dove furono arrestati, probabilmente per una delazione.

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